Datagate: che fare?

Le rivelazioni sulla NSA non fanno quasi più notizia. Ormai serve una riflessione globale su Internet: si vuole farne il caposaldo della democrazia?
Datagate: che fare?
Le rivelazioni sulla NSA non fanno quasi più notizia. Ormai serve una riflessione globale su Internet: si vuole farne il caposaldo della democrazia?

Se la vicenda mondiale più importante del 2013 dal punto di vista della Rete è stato il Datagate, certamente il 2014 si apre con la domanda più “politica” che ci si può porre: che fare? Le continue rivelazioni sulle mille propaggini della NSA ormai non stupiscono più. Un filosofo come Noam Chomsky è forse il modo migliore di fare un bilancio e guardare alle possibili soluzioni: è lui infatti ad aver detto, senza tanti fronzoli, che il Potere si alimenta da sempre con l’informazione e non ha senso stupirsene.

Le rivelazioni di Edward Snowden, l’impressionante lavoro di report analisys di Glenn Greenwald, l’ex giornalista del Guardian ora protagonista di una nuova avventura finanziata dal patron di eBay, hanno costituito una mole di informazioni sulle tecniche di sorveglianza globale dei servizi di intelligence delle potenze nazionali – Stati Uniti in primis – che non ha precedenti. Dall’ultima rivelazione sui backdoor nei device, passando per la questione intercettazioni, la Rete si è mostrata in tutta la sua ambiguità.

https://twitter.com/ggreenwald/status/417344947793063937

Da questo punto di vista, la bella intervista a Noam Chomsky su Salon, una testata indipendente, non poteva essere occasione migliore per ribadire un concetto impopolare ma giusto, così espresso dal celebre linguista e filosofo 85enne:

La disponibilità di Internet ha offerto un accesso più facile di prima ad un’ampia varietà di informazioni e opinioni. Eppure io non credo che sia un salto di qualità. È più facile accedere a Internet che andare in biblioteca, senza dubbio, ma il passaggio da nessuna biblioteca all’esistenza di biblioteche è stato un cambiamento molto più grande di quello che abbiamo visto con lo sviluppo di Internet. Si dà più accesso – che è un bene – ma d’altra parte questo accesso si è combinato con un processo che mina l’inchiesta indipendente e la comunicazione all’interno dei media stessi.

http://www.youtube.com/watch?v=cM2idIg9pSA

La credibilità della Rete

Ciò che sottolinea Chomsky è spesso difficile da far comprendere: Internet non ha alcuna peculiarità intrinseca che possa far pensare sia più immune da altri sistemi di conoscenza dalle contaminazioni o manipolazioni dei fatti. Anzi, fin dagli albori della blogosfera, attorno ai primi anni duemila, molti studi hanno lanciato l’allarme sul rischio di polarizzazione dell’informazione, fenomeno per cui si tende a creare cerchie di persone coi medesimi interessi e convincimenti e si ci disabitua al dibattito, rafforzando l’idea che la propria idea sia la migliore se non l’unica. I social hanno peggiorato, se possibile, questa customizzazione della Rete, ma sono anche l’habitat di sistemi e applicazioni algoritmiche in grado di ottenere l’effetto opposto, se si vuole.

Il Datagate ha indubbiamente distrutto la credibilità della Rete almeno dal punto di vista della sicurezza e della riservatezza, ma rischia anche di minare a lungo termine – le grandi corporation se ne sono accorte – il valore stesso dell’esperienza umana sul Web, quando invece sarebbe bene sforzarsi per spiegare l’equivoco di fondo: si è creduto per anni alla neutralità della Rete, alla sua natura anarcoide, ma la verità è che si tratta di un servizio distribuito perlopiù da multinazionali che hanno costruito o implementato le autostrade sulle quali viaggiano i bit (i cavi sottomarini sempre più brandizzati) e che compensano da intermediari i servizi che offrono facendo dell’utente e delle sue attività una merce di scambio con gli inserzionisti, oppure dei consumatori. Molto meno romantico, ma è così. Il web è un iperluogo di massa che interessa al potere e al capitale, ne è intriso come non poteva altrimenti essere.

La riforma della NSA

Per recuperare parte della credibilità, almeno della politica di sicurezza, è urgente che Barack Obama metta mano alla NSA. Il lungo report del panel di esperti chiamati a riformare le regole del servizio di sicurezza nazionale, che fin qui ha operato secondo la psicologia del post-11 settembre, ha stilato ben 46 raccomandazioni, gran parte delle quali sono di buon senso, come restrizioni alla conservazione dei tabulati, limitazioni ai mandati FISC e raccomandazioni (che però la Casa Bianca non è obbligata a seguire alla lettera) circa le informazioni da fornire agli utenti in merito alle richieste governative – come chiesto a gran voce dalle web company – e sui backdoor e la crittografia, parte integrante del metodo NSA.

Il processo democratico

Tuttavia, il Datagate comporta una riflessione più estesa sul processo democratico. Se si parte dalla considerazione che i leader politici utilizzano la Rete per spiare i propri cittadini e che le tecnologie che adottano sarebbero perfette per modificare in tempo reale persino un processo democratico che fosse più incardinato a Internet, c’è da essere molto dubbiosi sulla reale possibilità di dare vita alla democrazia diretta, non più rappresentativa.

Basta leggere l’ultimo rapporto Demos per rendersi conto dello spaventoso crollo di fiducia degli italiani in quasi tutte le istituzioni, processo non confinato nel Belpaese. Ormai un terzo della popolazione non crede più nel valore della democrazia comunemente intesa. Inoltre verso la Rete persiste un’idea ingenua che le affida qualità superiori nella diffusione di verità, a detrimento di una cultura delle competenze di cui si avvertono scricchiolii inquietanti (come nel caso Stamina). All’ultimo World Forum for Democracy di Strasburgo si è molto parlato di democrazia digitale e le conclusioni vanno in direzione opposta ai tecnoentusiasti (dando per scontato che questo non significa abbiano ragione i nemici della Rete): partecipazione, affluenza al voto, qualità dei primi esperimenti di piattaforme – raccolte e raccontate da Fabio Chiusi e di prossima pubblicazione in un libro – lasciano intendere che al momento la politica fatta in Rete è sempre la stessa politica. Inoltre, se pure fosse diversa, l’attuale stato di Internet non garantirebbe impermeabilità a manipolazioni potenzialmente molto gravi e se non si desse importanza a questo problema si farebbe cadere il dibattito politico in una logica di sospetto permanente. Molto, molto pericoloso.

Dunque, che fare?

Nessuno può immaginare di smantellare Internet, o parcellizzarla, economicamente è quasi fantascientifico costruirne una nuova oppure crittografarla tutta. Una soluzione a problemi così importanti e globali potrebbe forse venire dalla compartecipazione degli interessi pubblici e privati che convergono nella Rete. La prospettiva è però lontana: in questo momento i suoi player si guardano con sospetto, l’Europa contro gli Usa, l’occidente contro la Cina o la Russia, le web company contro la NSA e anche contro i tentativi di regolamentare fisco e privacy dei paesi europei (dalla webtax alle varie multe in Spagna e Germania). La prima cosa da fare sarebbe quella di volare più alto.

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