Quella che doveva essere una proposta di legge per frenare l’hate speech in rete si presenta come qualcosa di molto più complesso e organico. La firma, come noto, è della deputata pidiellina Alessandra Moretti e il testo ha fatto capolino sulle pagine de La Stampa (pdf) prima ancora di apparire sul sito della Camera dei Deputati (atto 2049). Fin dal titolo della proposta di legge è chiaro come il testo sia andato ben oltre quelle che sembravano essere le intenzioni iniziali: “Norme per la tutela della dignità in internet“.
Il testo va in effetti ben oltre: hate speech, ma anche diritto all’oblio, diffamazione e garanzie per i minori sui social network:
La presente proposta di legge mira a garantire la dignità delle persone nel contesto della rete, evitando che internet, da straordinario strumento di democrazia e promozione delle libertà, diventi uno spazio anomico dove impunemente violare i diritti, spesso dei soggetti più fragili, amplificando gli effetti lesivi dell’hate speech. Sono ormai troppo frequenti, infatti, i casi nei quali la rete viene utilizzata quale strumento di propagazione della violenza, della denigrazione, dello scherno, quasi sempre nei confronti di soggetti (anche minori) particolarmente vulnerabili, con esiti a volte tragici: addirittura suicidi, come avvenuto diverse volte nell’ultimo anno, da parte di ragazzi che erano stati vittime di
vessazioni amplificate dalla rete.
Per sfortunata coincidenza, il testo trova pubblicità nelle stesse ore in cui avviene il suicidio di una ragazza a Cittadella, all’interno di un caso nel quale il ruolo del social network Ask.com è stato da molti additato come preminente nello spingere la sfortunata verso l’estremo gesto. A tal proposito Webnews ha però già analizzato la situazione prima e dopo i fatti delle ultime ore.
Su un altro punto, piuttosto, è necessario fermarsi immediatamente: definire la rete come uno spazio “anomico” è infatti una valutazione del tutto arbitraria, poiché nei fatti ogni legge viene applicata al Web così come viene applicata altrove. L’idea di un “far west selvaggio” senza regole è un concetto teoricamente sepolto dal tempo, ma fin troppe volte riesumato. Che vi sia un errore di fondo a monte dell’intera proposta è chiaro anche nelle righe successive, quando viene citata la prima sentenza Google-ViviDown nella quale il Tribunale di Milano aveva descritto il Web come una “sconfinata prateria dove tutto è permesso e niente può essere vietato”. Ancora una volta è una sfortunata circostanza a raccontare qualcosa di ulteriore: soltanto da poche ore è disponibile infatti il testo della sentenza della Corte di Cassazione che non solo ribalta la sentenza di primo grado citata dal testo della Proposta di Legge, ma la smonta nel cuore del ragionamento, la annulla pezzo per pezzo e la svuota di ogni significato.
Diritto all’oblio
Il testo procede affrontando il tema del diritto all’oblio:
La presente proposta di legge […] sancisce espressamente il diritto all’oblio dell’interessato e, in particolare, il diritto all’aggiornamento, alla rettificazione, nonché alla deindicizzazione dei dati personali che lo riguardano e che siano inesatti, lesivi della propria dignità o anche soltanto non più attuali in quanto, in particolare, superati dai successivi sviluppi dei fatti che lo riguardano.
La proposta punta però a coinvolgere il Garante per la protezione dei dati personali, il quale «potrà prescrivere l’adozione delle misure necessarie anche ai provider responsabili della diffusione, secondo un sistema di notice and take down che si conformerebbe a quanto affermato, già de jure condito, dalla Corte di giustizia, secondo cui un intermediario deve essere considerato responsabile degli illeciti commessi in rete qualora abbia contezza di attività o informazioni illecite sia a seguito di esami effettuati di propria iniziativa, sia a seguito di notificazione». L’inopportunità di un intervento simile è ben spiegata da Francesco Paolo Micozzi per LeggiOggi:
È bene evidenziare che il codice dei dati personali si occupa di dati personali, non già di attualità di una “notizia”, quindi, ma di attualità dei dati personali trattati. La norma è superflua perché già oggi è riconosciuto il diritto all’oblio […]. Bisogna, però, fare attenzione a non pensare che il diritto all’oblio sia il “diritto ad essere cancellati dalla rete”. […] Diritto all’oblio, invece, salvaguarda “la proiezione sociale dell’identità personale” che deve mantenere, nel tempo, la sua attualità. Ma tutto questo è già previsto, in primis, dall’art. 11 del Codice della Privacy.
Un testo inopportuno?
Il testo interviene quindi ad implementazione delle leggi che definiscono il reato di diffamazione, creando estensioni particolareggiate per il Web. Questo tipo di intervento, benché ponderato, rischia di trasformarsi semplicemente in una aggravante per un certo tipo di canale, ponendo una lente di ingrandimento sullo strumento invece di approntare un testo di generale validità. Di fatto le leggi attuali già possono essere applicate a qualsiasi comunicazione “telematica”, il che non fa altro che rendere periglioso il testo approntato.
In generale la sensazione è quella di una certa inopportunità generale dell’intervento: il testo va a puntare il dito contro uno strumento più che contro l’uso che possano farne gli utenti, il tutto peraltro dopo fatti tristemente noti che hanno colpito l’account Twitter della proponente. Si poteva intervenire con più calma, coinvolgendo le parti in causa, evitando una certa acredine nei confronti dello strumento e pesando l’opportunità dell’intervento con la possibilità di evitare il tutto.
Se passa il principio per cui le leggi attuali non sono applicabili, allora passa un principio errato e contrario a quanto il legislatore avrebbe dovuto fin qui approntare: testi di carattere generale che non operano distinguo sui canali attraverso cui un reato può essere commesso. I fatti delle ultime ore sembrano suggerire una maggior crescita culturale piuttosto che nuovi interventi legislativi. Il che non vieta certo l’attenzione della politica, ma gli interventi sono stati fin qui troppo spesso sgangherati e inopportuni per poter accettare un nuovo dispositivo di legge fatto di tutta fretta pur di portare avanti un giro di vite più deleterio che altro.