«Caro direttore, la novità annunciata dal New York Times in settimana, con il ritorno ai contenuti a pagamento su internet, è un passo importante nella ricerca comune di un nuovo modo di fare i giornali, cartacei o elettronici che siano. Lo sviluppo della Rete in questi anni non sarebbe stato così impetuoso senza il contributo dell’informazione». Con queste parole Carlo De Benedetti ha portato nuovamente sul Sole 24 Ore il proprio punto di vista circa il futuro dell’editoria ed in modo particolare della sua dimensione online.
La lettera di De Benedetti non fa altro che ribadire ed approfondire una posizione già pubblica, già sviscerata in passato e già ampiamente nota: Google non può continuare ad approfittare dei contenuti altrui e la Rete deve trovare una soluzione per rendere l’utenza monetizzabile e redditizia. Tutto ciò per una semplice questione economica: «Via via un numero crescente di utenti s’è abituato a trovare gratis sui siti tutti gli aggiornamenti e, talvolta, gli approfondimenti e i commenti di cui ha bisogno. E il successo di un sito come Repubblica.it sarebbe senza precedenti se fosse valutato solo con i parametri del numero dei suoi visitatori o della sua capacità d’influire sull’agenda quotidiana del paese.
Ma un editore non può prescindere dal bilancio, anche perché quando i conti non tornano è la libertà d’espressione a soffrirne per prima e di più».
Secondo De Benedetti, insomma, «L’errore degli editori è stato puntare tutto sulla pubblicità, quasi che potesse esserci una quota aggiuntiva di investimenti da dedicare a internet e in particolare a chi fornisce notizie online. Non è così: nei budget degli investitori, com’è naturale, la pubblicità è stata dirottata sulla rete dalla stampa, soprattutto». Un errore strategico del passato, di fronte al quale l’editoria deve rispondere. Ma deve rispondere in modo compatto, trovando un orgoglio corporativo per organizzare una reazione univoca e allineata: «la Rete non può restare un Far West senza regole o una Somalia in balìa dei signori della guerra, dove tutto è gratis e la pirateria non è un reato. E questo nulla ha a che fare con la splendida libertà d’espressione e comunicazione che internet offre e che va difesa». Il mirino è puntato sempre nella stessa direzione: «Allo stesso modo Google non può sfruttare i contenuti prodotti da altri senza dare nulla in cambio […] Google deve restituire una parte del valore immenso creato ogni giorno dai giornalisti, che il motore monetizza grazie alla pubblicità AdSense.
Nell’ultimo appassionato intervento, De Benedetti è però su di una posizione più morbida rispetto al passato. La mano protesa verso Google, infatti, sembra essere un gesto collaborativo, quasi un appello: se Google ascolterà le istanze proposte, il ruolo di mediatore nella distribuzione potrebbe essere suo. «Google potrebbe così trasformarsi in un equo distributore della ricchezza creata grazie al lavoro altrui […] se Google accettasse di riscuotere per conto degli editori i pagamenti legati a determinati contenuti, si potrebbe cominciare a ragionare. Come si ragiona tra partner, non come i sudditi ricevuti in udienza dal sovrano».
L’editoria non intende perdere il controllo dei propri bilanci e dei propri contenuti. Per questo ha organizzato l’esperimento PPN, per questo punta ora ad una realtà ancor più dinamica ed organica. «L’esperienza del consorzio Premium Publisher Network per la pubblicità a performance, che vede il Gruppo Espresso collaborare con Corriere della sera, Gazzetta dello Sport, Stampa, Ansa e tanti altri, è tra le più studiate in Europa. Gli editori devono superare le antiche rivalità e lavorare insieme, fare appunto sistema. Solo così si contrastano i competitor globali».
La ricetta di De Benedetti si basa su «Collaborazione tra editori, dunque, sistemi di pagamento agili, intese commerciali con motori di ricerca e aggregatori, difesa del copyright». Ma un tassello finale torna nuovamente a mettere in discussione qualcosa che la Rete sembra già aver bocciato a monte in modo definitivo. Secondo l’editore, infatti, «bisogna far sì che gli operatori di rete, le telecom, accettino di condividere con noi una quota dei loro ricavi dovuti all’accesso». Una “levy” sulla connettività, una sorta di “equo compenso” applicato alle connessioni. Secondo De Benedetti «È ora di cambiare registro»: sul “come”, però, non sarà facile raggiungere un accordo.