Deep linking sotto accusa

Per L'Associazione Danese degli Editori di Giornali Newsbooster.com farebbe uso di deep linking, e cioè il collegamento a pagine interne di un altro sito. Si ripropone così una delle grandi questioni irrisolte del Web.
Deep linking sotto accusa
Per L'Associazione Danese degli Editori di Giornali Newsbooster.com farebbe uso di deep linking, e cioè il collegamento a pagine interne di un altro sito. Si ripropone così una delle grandi questioni irrisolte del Web.

Sotto
accusa è Newsbooster.com, un motore di ricerca di notizie che offre la possibilità
di ricevere, a pagamento, i link degli argomenti ricercati direttamente nella
propria casella di posta elettronica. L’Associazione Danese degli Editori
di Giornali ha mosso causa contro il sito, chiedendo al Tribunale di Copenaghen
che il servizio offerto da Newsbooster.com venga interrotto oppure che venga
costretto a pagare i diritti sugli articoli linkati.

“Navigare dalla home page fino all’argomento desiderato potrebbe essere molto lungo” ha affermato Nicolai Lassen,
leader di Newsbooster. “Utilizzando una tecnologia come Newsbooster, si risparmia
parecchio tempo.” Lassen inoltre considera il linking un elemento fondamentale
del World Wide Web e non vede nulla di sbagliato nel creare un servizio che
collega a notizie su oltre 3.000 altri siti web. Ma Ebbe Dal,
manager dell’Associazione Danese degli Editori di Giornali, è stata sibillina
“Riteniamo che non sia corretto basare i propri affari sul lavoro altrui”.
Dal ha anche affermato che il metodo è comunque lecito nel caso venga utlizzato
dai motori di ricerca.

Comunque la tecnologia

per bloccare sul serio il deep-linking esiste ed è utilizzata ad esempio
dal sito di news di Associated Press, The WIRE. In questo caso è possibile
verificare da quale sito proviene il visitatore. Nel caso in cui l’utente
provenga da un sito non autorizzato ad utilizzare deep-links questo verrà
automaticamente indirizzato su una pagina di default e gli verrà richiesto
di entrare attraverso uno dei giornali membri di Associated Press. Sebbene
a livello generale i gestori dei siti non amino i blocchi, tuttavia preferiscono
questo tipo di soluzione piuttosto che un ambiente di legge dove poichè un
divieto è presunto è necessario richiedere un permesso ogni volta.

In realtà quest’ultimo caso è la inevitabile conseguenza della grande
confusione giuridica che grava sull’argomento. Come spesso accade in altri
ambiti infatti, si presentano all’utente ed agli addetti ai lavori delle
fonti di legge tra loro contrastanti. La giurisprudenza si era mossa già
contro il deep linking il 26/12/2000 quando il Tribunale di Parigi
dichiarò illecito il collegamento alle pagine interne di un sito se questo
viene effettuato senza rendere noto all’utente la fonte dell’informazione,
a meno che il sito in questione non abbia dato il proprio consenso al collegamento
stesso.

Il motivo fondamentale per cui il deep linking viene ritenuto illecito
è molto chiaro. Inserendo un link ad una pagina interna di un sito si salta
la home page, e quindi lo si priverebbe dei guadagni provenienti dalla pubblicità
che comunemente è più diffusa proprio sulla pagina iniziale. Tra l’altro
è la motivazione
mossa qualche tempo fa da PCM, uno dei maggiori editori olandesi, contro
il sito Kraten.com davanti ad un Tribunale dei Paesi Bassi. Ma in questo
caso, sorprendendo molti osservatori (ma soprattutto le parti stesse!), i
giudici olandesi non hanno ritenuto valide le tesi dell’accusa, considerando
quindi le perdite di introiti subite da PCM derivanti da strategie pubblicitarie
inefficaci. Una sentenza storica!

Molti ritengono che richiedere il permesso prima di inserire un
link significherebbe mettere a repentaglio l’esistenza stessa di molti giornali
online e motori di ricerca. A questo proposito è stata significativa la dichiarazione
di Matt Cutts software engineer di Google.
“Almeno da un punto di vista storico, c’è la tradizione che se metti qualcosa sul Web diventa una risorsa pubblica”

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