In queste ore l’accoppiata Merkel/Sarkozy ha fatto capire all’Italia che non tollererà ulteriore inerzia circa il nostro debito pubblico. Ma non è questa l’unica bordata in arrivo dalla Francia: anche David Drummond, Chief Legal Officer Google, ha fatto ripetuti riferimenti al nostro paese per tentare di spiegare cosa NON si debba fare per stimolare e regolamentare il mondo della tecnologia.
Drummond ha parlato a Parigi in occasione dell’evento “New World 2.0”. Nel rispondere alle domande, ha illustrato il modo con cui Google agisce nel nome della trasparenza e del rispetto delle leggi locali, ma a tal fine ha voluto fare riferimento diretto anche a quanto accaduto in Italia in occasione della sentenza “Vividown”, quando lo stesso Drummond è stato considerato co-responsabile per il video caricato online e quindi rimosso a causa dei deprecabili contenuti riscontrati.
Ci sono anche forme indirette di censura, per esempio il considerare penalmente responsabile chi ospita contenuti sui propri server. Se si è caricati di cotanta responsabilità, numerosi strumenti utili per i consumatori non potrebbero più esistere, che si tratti di YouTube, Facebook o Twitter. Sono stato coinvolto io stesso in Italia: nel caso di un video pubblicato su Google Video sono stato condannato in prima istanza, anche se abbiamo cancellato il video una volta che è stato portato alla nostra attenzione. Abbiamo naturalmente fatto appello alla decisione, che a nostro avviso è contraria al diritto europeo, ma se le leggi europee rendono responsabili per i contenuti pubblicati sulle proprie piattaforme, reti sociali e servizi video semplicemente non potrebbero esistere.
Ma il riferimento all’Italia è replicato, anche se in tono più velato, anche in riferimento ad un altro tipo di censura. Google, infatti, ritiene che qualsivoglia filtro al Web rischia di essere strumentale: finalizzato alla tutela dei minori o alla difesa del copyright, potrebbe essere in realtà utilizzato per finalità terze. «In molti casi vediamo che i siti sono bloccati, filtrati, e che agli Internet Service Provider è affidato un ruolo di controllo. Per noi è questo un problema importante».
Non c’è vera democrazia se c’è un filtro. Non c’è vera libertà se ci sono limiti eccessivamente rigidi. Non c’è vera libertà di espressione se non ci sono regole chiare e se non si distribuiscono equamente diritti e responsabilità. Google lo dice a chiare lettere, ed il riferimento all’Italia è tutt’altro che celato.
Nell’intervista, pubblicata su LeMonde, non c’è però riferimento alcuno a quel che è l’Hadopi francese. Peccato.