L’ultimo episodio della coda lunga dell’operazione UnMask è la denuncia per associazione a delinquere del 29enne aostano accusato di essere l’identità dietro a X, uno degli hacktivisti italiani di Anonymous impegnati nell’operazione anti Isis colpevole, secondo gli inquirenti della procura di Roma, di accesso abusivo e danneggiamento di sistemi informatici, ma, secondo la stessa community, anche di aver dichiarato ai media di aver sventato un attentato dell’Isis progettato a Firenze per prendersi dei meriti inesistenti.
Vicenda imbarazzante quella di X – dietro il quale si cela l’identità di Marco Mirabello, un dj di Châtillon che lavora anche nel settore informatico – e della frangia italiana di #OpParis, la campagna anti Isis lanciata dopo gli attentati nella capitale francese. Questa campagna nei mesi di novembre e dicembre aveva coaugulato attorno a sé tutto un mondo di attivisti online dediti al blocco degli account Twitter e all’attacco informatico per raccogliere informazioni, un arcipelago di sigle più o meno importanti, più o meno credibili, a diverso grado di professionalità e interazione con le istituzioni pubbliche (ad esempio le forze di polizia). In ogni caso sembrebbero 19 mila gli account saltati fino ad oggi grazie a queste operazioni, anche se non è chiaro quanto invece abbiano contribuito a ridurre lo spazio complessivo di Daesh dal punto di vista della propaganda. Ammesso che la propaganda online sia davvero il punto nodale della questione.
https://twitter.com/OpParisOfficial/status/666553008541552640
La fronda italiana
Gli italiani hanno dato un contributo alla causa, ma è stato chiaro molto presto che c’erano problemi nei rapporti e nella fiducia reciproca, e anche nello stile di questo lavoro collettivo. Così quando ieri la polizia postale ha formalizzato la denuncia di X tramite il CNAIPIC (Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche), non ha stupito certo chi dopo la notizia del presunto sventato attacco terroristico aveva collegato la pubblicazione di un video anche troppo spettacolare con il comunicato di Anonymous Italia in cui prendevano le distanze e spiegavano un’altra volta il principio di eccezione di questo tipo di campagne: fornire informazioni alle forze di polizia. Non certo pubblicizzarle.
https://twitter.com/OpParisOfficial/status/685514629481631746
Sembrano esistere fronde dentro altre fronde. Gli italiani non sono sempre apprezzati dalla community globale su questo tipo di approccio; dentro la comunità di cyberattivisti si fa sempre più evidente la spaccatura tra chi pensa solo alla caccia ai proselitismi filo Daesh e chi invece non è disposto ad aiutare le intelligence e teme – mostrando più sensibilità della media – un paradossale calderone, una ventata di censura verso gli islamici. Caos che merita una nuova riflessione, misurando i cambiamenti dentro questo mondo che forse non è più rappresentabile con documentari come We Are Legion e alcuni libri anche recenti. Il classico problema di captazione nei fenomeni sociali che maturano velocemente.
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La spettacolarizzazione come risposta
Chi conosce bene questa community registra da tempo un calo vistoso della idealità del movimento Anonymous, frutto anche del suo successo estetico. Gli annunci che sembrano telegiornali, le maschere, gli slogan, le tecniche, i forum sui social, gli arresti anche clamorosi dell’operazione UnMask nella quale, un po’ a sorpresa, sembra rientrare anche questo ultimo ragazzo (anche se non si capisce bene perché non dovrebbe rispondere di reati meno gravi ma più precisi come il procurato allarme e il millantato credito) concorrono ad abbassare di molto il livello dei nuovi arrivati.
Rispetto anche solo a due anni fa gli osservatori che frequentano questi attivisti hanno notato un abbassamento drastico della qualità. Anonymous sembra rischiare di diventare un ambiente del tutto inaffidabile, pieno di ragazzini mitomani facilmente infiltrabili o strumentalizzabili da vari tipi di persone (anche le più pericolose) che hanno dei propri scopi personali e usano Anonymous come un brand. Il resto è fatto dai media, che hanno un effetto mostruoso sulla vanità delle persone, e anche sulla percezione degli intenti e il valore che le forze dell’ordine potranno eventualmente dare loro. Se i media non avessero dato tutta quella rilevanza alla vicenda probabilmente oggi ci saremmo scordati di quel tweet o quel post di troppo.
È ancora presto per giudicare e ci vorranno tempo e inchieste sul campo, ma questo caso clamoroso di annuncio mediatico non convalidato dagli altri membri non è solo un incidente, sembra piuttosto un effetto dell’assenza di eventi veri (lo “sciopero degli eventi” di cui parlava Baudrillard) e della loro sostituzione con falsità spettacolarizzate. Il motivo? Si potrebbero scomodare cultura ed economia, sociologia e politica, ma la spiegazione più banale non lontana da una possibile parte di verità potrebbe essere che la campagna OpParis ha un po’ rallentato e si fa avanti la convinzione inconfessata che chiudere qualche migliaio di account – subito riaperti con altri nomi – non intimorisce nessuno e non svuota il fenomeno del fanatismo religioso.