Come già successo per Gmail, anche il nuovo Desktop Search solletica la verve polemica e scatena discussioni circa l’opportunità delle novità introdotte dal nuovo pargolo di casa Google. Ancora una volta il cruccio verte su un problema divenuto focale: la tutela della privacy.
Una tra le principali osservazioni emerse è quella relativa all’uso del Desktop Search sui computer di pubblico utilizzo (l’esempio classico è quello degli Internet Café, ma anche le informazioni custodite sul pc di casa possono essere messe involontariamente a disposizione): l’indicizzazione del tool potrebbe infatti cogliere i contenuti di un navigatore precedente ed i propri dati sensibili (mail, siti navigati, discussioni in chat, eccetera) potrebbero risultare così accessibili da chiunque.
L’accesso alle mail, soprattutto, potrebbe rivelarsi decisamente pericoloso: infatti accedere all’archivio della posta significa poter visionare i tradizionali messaggi che, dopo una qualsiasi registrazione online, inviano la password all’utente per futura memoria. Una sorta di autophishing, insomma.
Inizialmente il coro degli entusiastici aveva ignorato tali problematiche ed il tool di ricerca per il desktop era stato salutato da meritati applausi circa l’utilità della funzionalità introdotta (rivoluzionaria rispetto alla precedente ricerca offerta dai sistemi Windows). A pochi giorni dall’uscita, però, la tutela della privacy è tornata ad essere la spina nel fianco della rivoluzione Google, la quale fa leva sulla disponibilità delle informazioni personali per ergere il proprio business basato sugli annunci promozionali.
The Inquirer getta acqua sul fuoco e vede negli standard di sicurezza degli Internet Café un calmiere determinante dei pericoli ravvisati nel Desktop Search: modificare le impostazioni del browser è spesso cosa limitata, e la stessa installazione privata di un software è cosa usualmente vincolata ad autorizzazione di chi gestisce il tutto.