Dieci anni fa il commercio elettronico era paragonabile a un piccolo canale alternativo per fare le stesse cose, vendere un personal computer o un cellulare. Oggi è multicanale, internazionale, centrato sul cliente. In Italia però si è rimasti troppo al modello precedente e i numeri esposti oggi dal presidente di Netcomm, Roberto Liscia, sono quelli che il sistema paese merita: 15 miliardi di fatturato e 30 mila imprese.
I numeri di Liscia e degli Osservatori del Politecnico sono stati raccontati oggi nella sala plenaria a Milano Congressi, e sono noti già da qualche tempo: secondo i dati Ecommerce Foundation, l’economia generata dall’eCommerce ha prodotto direttamente e indirettamente circa 2,5 milioni di posti di lavoro in Europa, ma pochi in Italia; l’ecommerce sta superando la soglia un milione di persone/un miliardo di spesa media a consumatore e nella sola Europa in previsione per il 2015 si stima a 470 miliardi di euro il fatturato complessivo di beni e servizi acquistati tramite eCommerce, però UK con 122 miliardi di euro, Germania con 70 miliardi, Francia con 56,8 si prendono da sole il 60% della torta.
Ciò che distanzia l’Italia dagli altri, insegna Liscia, sono i comportamenti e le abitudini di acquisto dei consumatori, in continua evoluzione, con alcuni trend chiaramente identificabili in tutto il mondo, mentre le aziende italiane mancano nel digital assessment. «Le imprese devono comprendere queste tendenze», spiega Netcomm nel suo report, «per poter offrire un percorso di scoperta e acquisto sempre più efficace ovunque sia il cliente, dandogli la migliore esperienza in ogni momento».
Roberto Liscia: ecommerce è leva strategica
Mentre all’#eCommerceForum si svolgono workshop e sessioni sulla multicanalità, la sharing economy, scenari e casi di area mobile marketing da tutto il mondo e specialmente dall’Italia, Roberto Liscia spiega a Webnews perché quest’anno parla di “via obbligata”.
Buon Compleanno, Netcomm…
Grazie tante.
Propongo un gioco: dieci anni fa e oggi.
Dieci anni fa si parlava di tecnologie, oggi di consumatori ed esperienze emotive/digitali. Dieci anni fa si parlava di Internet, oggi di prodotto. Dieci anni fa si parlava di piattaforme, oggi di customer care e azioni proattive.
La morale è che il digitale non è più una risorsa, ma una leva.
È il problema delle aziende italiane. Lo dico con una piccola licenza: l’imprenditore italiano è il genio del fare e il pigro del vendere, che dice “farò una cosa bellissima, perché non saprei farla altrimenti, e se non l’apprezzate peggio per voi, ma soprattutto spero di trovare qualcuno che la venda per me”.
Dura entrare nel mercato internazionale così…
Infatti. L’asse cambia e deve cambiare la cultura imprenditoriale del paese, per questo ho ultimamente molto spinto sulla responsabilità dei grandi veicoli culturali del paese, a partire dalla Rai. Tutto, mi creda, tutto va ri-orientato sull’one-to-one. Il cliente ha bisogno di essere circondato, coccolato dall’impresa – e lasciamo perdere fisicità e online, sono separazioni inutili – perché il digitale gli ha già fatto incontrare questa sensazione, dunque il commercio elettronico italiano deve correre e concorrere.
L’idea del nuovo asse col digitale come leva e la cultura del cliente come spinta è convincente. Tuttavia, se si tolgono infrastrutture di rete e burocrazia, l’Italia non sembra messa male: in fondo siamo un popolo predisposto al consumo elettronico, anche e soprattutto mobile. Cosa manca per passare da un misero 4% di penetrazione nel settore a un 8% degno di un paese del G10?
Potrei cavarmela rispondendo che mancano altre 30 mila aziende, per passare da 30 a 60, come gli altri grandi paesi e così raddoppiare. Però posso dire che mi aspetto un + 6000 imprese a fine 2015. Con questo ritmo ci metteremo dieci anni e sarebbe meglio fare prima, ma io vedo un fiorire positivo di aziende italiane innovative e aggressive sull’ecommerce. Come dice lei, gli italiani spendono mille euro l’anno, circa, comprando online, per circa dieci acquisti l’anno. I tedeschi sono 400 euro più avanti. La questione è che in Italia chi fa bene fa molto bene come negli altri paesi, ma chi fa male fa molto peggio di chi fa male nel resto d’Europa.
Sono passati solo due mesi dal libro bianco proposto in Parlamento: qualche novità? Il legislatore vi sta ascoltando?
Abbiamo in quella occasione proposto alcune modifiche su accise, Iva, e qualcosa è già stato accolto. Addirittura una nostra proposta sull’equiparazione è già norma. Lo dico con piacere: a Roma ci siamo sentiti ascoltati e il libro bianco sta germinando in proposte di legge.