Il nuovo commissario straordinario all’Agenda digitale italiana fa già discutere ancor prima di iniziare a lavorare. Il nome di Diego Piacentini è risuonato stamani tra gli scranni semivuoti della Camera, oggetto di una interpellanza urgente di un deputato di Sinistra Italiana. L’argomento è quello uscito in queste settimane, cioè il potenziale conflitto di interessi del manager rispetto al suo rapporto con la società di Seattle da cui ha preso un’aspettativa, ma è la risposta ad essere interessante: il sottosegretario De Vincenti ha infatti smentito il problema delle stock options, rivelatosi un luogo comune.
Finora aveva poco senso occuparsi della nomina di Diego Piacentini. L’uomo è nella Capitale da un mese e sta lavorando per creare uno staff che lo assisterà nei due anni che lo impegneranno in questa attività gratuita. Ad oggi il governo ha fatto solo due mosse, però fondamentali: ha approvato il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale, che contempla ora questa figura ridisegnando i confini dei conflitti di interesse e dell’attuazione dell’agenda digitale, e ha decretato la sua nomina pubblicata in Gazzetta ufficiale. A fronte di queste informazioni di base, e senza altri appigli, per alcuni commentatori è stato però sufficiente abbinare il nome di una multinazionale, che rappresenta senza dubbio un potere economico, a una scelta politica per immaginare chissà quali conflitti. Fino ad oggi non valeva la pena riportarli, perché in sostanza si tratta di complottismo e di dietrologia. Quando però si arriva in Parlamento tutto cambia.
L’interpellanza urgente svoltasi stamani alla Camera durante la consueta seduta del venerdì dedicata a queste comunicazioni (video) porta la firma del deputato Arturo Scotto, che ha introdotto il tema del conflitto partendo da una premessa nota: Diego Piacentini si occuperà dell’Agenda digitale per un certo periodo di tempo, dopo il quale potrà tornare in azienda, e in questo periodo non riceverà alcuno stipendio né dall’azienda né dal Governo italiano. Secondo l’interpellante questa è una situazione neutra soltanto in apparenza perché lo stesso manager avrebbe un volume di azioni tale da renderlo un uomo ancora molto pesante nell’economia di Amazon:
Il volume di azioni in capo a Diego Piacentini non sarebbe mai cambiato: consiste in circa 80 mila titoli che corrispondono al valore di 62,4 milioni di dollari. In pratica, è il secondo più grande azionista individuale di Amazon dopo Bezos, presidente di Amazon. Diego Piacentini, dunque, non ha troncato i rapporti con la propria azienda di riferimento e tale circostanza in qualsiasi altro Paese occidentale avrebbe definitivamente impedito o inibito la possibilità per Piacentini di assumere un incarico governativo, come il Commissario straordinario all’Agenda digitale, estremamente confinante, diciamo, con il lavoro che faceva prima.
L’altro tema caro a chi non vede di buon occhio la nomina di Piacentini è collegato a questa premessa (vedremo, sbagliata): dato che occuparsi di Agenda digitale significa metter mano almeno teoricamente a tutti i dossier della pa e del governo, dalla sicurezza sul cloud fino all’equa tassazione delle multinazionali, non sarà che Piacentini rappresenti un tappo, o una distorsione? Scotto ne approfitta per rispolverare anche la digital tax (che lui chiama ancora, erroneamente, webtax):
Questa nomina a commissario straordinario per l’Agenda digitale appare particolarmente critica e foriera di potenziali conflitti d’interesse, anche per il fatto che chi assume un incarico così importante dovrebbe conoscere tutte le scelte del Governo in materia di pubblica amministrazione digitale, dettagli di mercato concorrenti con Amazon, che è il suo datore di lavoro in Italia. Per non parlare di politica fiscale e delle iniziative che da anni stiamo richiedendo all’Esecutivo e che pare che adesso entrino nell’Agenda e ci auguriamo che nella prossima legge di bilancio siano oggetto di una particolare attenzione e iniziativa da parte del Governo.
https://www.youtube.com/watch?v=UANtYt09Qlo
Piacentini non ha stock options
La risposta del sottosegretario Claudio De Vincenti è utile a togliere di mezzo l’argomento principe dei detrattori: non risponde al vero che Piacentini disponga di azioni fluttuanti a seconda del rialzo in Borsa. Dunque, ogni sua decisione come commissario – ammesso che possa davvero occuparsi di qualcosa che rimandi ad Amazon e soltanto ad Amazon – non provocherebbe alcun guadagno o perdita personale:
Le azioni vendute dal dottor Piacentini in agosto, prima di cessare dall’incarico sono state vendute in base al piano di vendita predeterminato e regolato dalle norme vigenti negli Stati Uniti contro l’insider trading, norme a cui devono aderire i dirigenti delle aziende americane quotate in borsa. La sua quota di partecipazione al capitale sociale è dello 0,000017 per cento, contro un numero di azioni del principale azionista pari a oltre 80 milioni (82 milioni 914 mila per la precisione). Comunque, il valore delle azioni di un’azienda globale come Amazon non potrebbe essere in alcun modo influenzato delle attività del commissario in Italia.
Come fa a dirlo con questa sicurezza? Si deve immaginare che Piacentini goda di una specie di stipendio dilazionato, un piano di assegnazione a scadenze predeterminate, che in soldoni significa che sono già state sottoscritte. Dunque qualunque cosa accadesse, avrebbero identico valore. Inoltre la questione vera è che nessuno ancora sa con precisione di cosa si occuperà Piacentini, certamente però non si occuperà di affidamenti, non sarà né centrale di committenza, né stazione appaltante, non si occuperà di cybersicurezza né tantomeno di fisco.
Il complottismo è un male infantile
Che Piacentini prima o poi debba illustrare il suo progetto, presentare lo staff, individuare metodo e obiettivi, è ovvio. La reazione di alcuni giornalisti e politici impegnati ad avvelenare il clima ancora prima di conoscerlo è però ai confini del complottismo. L’aspetto singolare del ragionamento di chi critica questa nomina paventando chissà quali conflitti di interesse – al di là dell’interpellanza, invece legittima e corretta nei contenuti – è che spesso si basa su un concetto negato sempre dalle medesime persone in altre occasioni di dibattito.
Nelle pagine social dove si inveisce contro il governo Renzi (magari anche con qualche ragione) per i risultati attualmente scarsi in merito al progresso digitale della nazione, e ci si dispera descrivendo l’Italia come il fanalino di coda, le stesse persone mostrano di credere a una teoria che invece immagina, non si sa come e perché, che Amazon possa sacrificare un proprio super dirigente per insediarsi nei gangli del potere politico di un Paese. La domanda è: se Amazon fosse davvero questa “spectre” impegnata in un piano diabolico di invasione mondiale, dove spedirebbe il suo miglior manager? A Tokio? In India? A Londra, Parigi? Macché, in Italia. Tredicesimo paese in Europa per ecommerce, e penultimo in tutti gli indici continentali sull’innovazione e la digitalizzazione.
Meglio lasciar perdere e attendere il piano di Piacentini e lasciarlo lavorare. Così da poterlo giudicare. Non c’è mai stata una persona di questo calibro, in questo ambito, in una situazione anche personale così ideale per provare a imprimere una differenza di passo che tutti si augurano. Si poteva anche evitare di accoglierlo con la dietrologia, disciplina di casa, ma tant’è.