Questi primi giorni della seconda settimana di luglio sono destinati a lasciare un segno profondo nell’agenda digitale italiana, anche se nessuno, al momento, può dire in quale modo. Sarà positivo se si passerà, almeno in parte, dalle parole ai fatti; sarà invece negativo se si sarà alzata troppo la posta senza poterselo permettere, aprendo a nuove e più cocenti delusioni. Certamente, Venezia sarà comunque fatale per l’agenda italiana.
Digital Venice rappresenta il debutto di questo governo, di una intera legislatura e anche di una diversa generazione negli ambiti internazionali e nel mondo digitale e industriale che conta. La generazione dei quarantenni che va da Matteo Renzi ai tanti speaker apprezzati a Venezia e che oggi si occupano di startup, di standard per la pubblica amministrazione, che lavorano in imprese innovative oppure nei gangli dello Stato cercando di “hackerarlo”, è quella che martedì ha lanciato la sfida nello stile tipico del presidente del Consiglio: toni entusiastici, obiettivi ambiziosi, una certa sicumera. Quarantenne è anche Alessandra Poggiani, la donna che è stata scelta dal ministro Marianna Madia di concerto con palazzo Chigi per dirigere l’Agenzia per l’Italia digitale.
Il flame dell’evento e i passi concreti
Di fronte alla potenza di fuoco di questo messaggio, ben studiato e (bisogna ammetterlo) anche ben preparato e condotto grazie a chi ha lavorato da Roma e da Venezia, ci si trova quasi spiazzati. Senza però gli adeguati investimenti nei progetti, è facile che la fiamma si spenga e si resti al buio. Al momento, Venezia è stata un’occasione eccezionale per alimentare un tema, anche social, e dare spazio a tutti coloro che rivestono un ruolo nell’ambito dell’innovazione: evangelist e giornalisti da un lato, imprese, università, associazioni dall’altro. Con la politica al centro, che dovrà questa volta mostrare di poter seriamente diminuire lo spread digitale che costa al Paese 10 milioni di euro al giorno.
#digitalvenice, chi sta guidando la conversazione social? @micheledisalvo @annamasera e @GCugini tra i top influencer pic.twitter.com/9YbCTQwKnI
— Datalytics (@DatalyticsIT) July 10, 2014
L’Agid è la risposta. Forse
Per questa ragione si sta dando molta importanza all’Agid, perché le sue competenze e funzioni ricalcano le debolezze dell’amministrazione pubblica nel fornire servizi e affrontano le lacune generali avocando a sé anche il compito di promozione della cultura digitale. L’Agid è dunque lo strumento più complesso – anche se piuttosto costoso e fino ad oggi incompiuto – in dotazione alla presidenza del Consiglio per fornire digitalizzazione aiutando i cittadini a farsi una cultura digitale e viceversa, le due cose si sostengono.
È anche vero però che mancano pezzi così importanti nel decreto scavi e quindi l’infrastruttura di Rete è al palo, mancano tanti soldi per i finanziamenti, sono così discutibili i fondi stabiliti in Agenda 2020, che è difficile che un manager pur preparato come la Poggiani (questo va a fare, la manager: non l’ingegnere) possa risolvere tutto con la bacchetta magica. Forse non è neppure auspicabile, visto che una vera cultura digitale dovrebbe permeare tutta la governance italiana, non solo quella un po’ ghettizzata della digit-agenda. L’insegnamento di Venezia è proprio questo: bisogna collegare le intenzioni dello stato con quelle delle imprese, facendo bandi intelligenti e ponendosi le domande più difficili, magari diventando anche un po’ meno simpatici.
Le proposte delle telco
Non deve stupire, quindi, la pubblicazione di una dichiarazione alternativa delle telco ospiti a Venezia. Timotheus Höttges (Deutsche Telekom), Stéphane Richard (Orange), Marco Patuano (Telecom Italia), César Alierta (Telefónica), Jon Fredrik Baksaas, (Telenor Group e CEO di GSMA), Vittorio Colao (Vodafone), cercano di riprendere i temi della tavola rotonda proponendo la loro visione:
- Infrastrutture. L’Europa politica dovrebbe sostenere lo sviluppo di un piano infrastrutturale moderno con investimenti pubblici/privati dove il pubblico interviene sempre nei fallimenti di mercato, senza però escludere le telco dalla concorrenza sull’offerta pubblica. Questo nell’ottica generale di un consolidamento del mercato ragionevolmente adeguato a spingere alla concorrenza senza smantellare le concentrazioni e ponendo telco e Internet sullo stesso piano legislativo.
- Digitalizzazione PA. L’Europa deve spingere sulla portabilità dei dati, sulla loro protezione, e porsi l’obiettivo di digitalizzare i servizi chiedendo alle telco di fare la loro parte.
- Creazione di posti di lavoro. Al contrario delle omologhe OTT della rete, le telco danno milioni di posti di lavoro e la digital economy può produrne molti altri. La politica europea dovrebbe favorire tutti i meccanismi utili per amplificare il ritorno economico degli investimenti di ricerca sulle TIC: migliorare il contesto imprenditoriale, incoraggiando attitudini imprenditoriali, a favore della formazione dei giovani e delle piccole imprese.
- Internet. L’Europa deve svolgere un ruolo chiave nel plasmare il futuro della governance globale di Internet. Il modello multi-stakeholder attuale, basato sulla partecipazione equilibrata delle diverse parti interessate, quali governi, settore privato e la società civile, non funziona più. La globalizzazione del processo decisionale (ad esempio, il coordinamento dei nomi di dominio e indirizzi IP) è la chiave per salvaguardare la stabilità, la sicurezza e la resilienza di Internet.