C’è una legge, comunemente conosciuta e riconosciuta, che valuta in appena sei gradi di separazione la distanza tra qualsiasi persona al mondo e qualsiasi altra: Io conosco te, che conosci lui, il quale conosce quell’altro, e così via fino all’entità di destinazione. Questa legge si è nutrita del proprio fascino per anni, e nel frattempo in molti hanno cercato un appiglio per riuscire a dimostrare la veridicità o meno di tale valutazione. A distanza di 99 anni dalla prima citazione pubblica di tale legge (Wikipedia ne accredita a Guglielmo Marconi la prima formulazione durante il discorso tenuto in occasione della consegna del Premio Nobel nel 1909), Microsoft mette in campo le proprie strutture per apporre il proprio sigillo: la legge sui «Six degrees of separation» è, più o meno, valida.
L’impegnativa ricerca è stata portata avanti per conto di Microsoft dai ricercatori Eric Horvitz e Jure Leskovec. Le conclusioni sono state tratte dopo aver passato al vaglio qualcosa come 255 miliardi di messaggi inviati nel giugno 2006 nel corso di 30 miliardi di conversazioni coinvolgenti ben 240 milioni di persone. In tutto sarebbero stati raccolti 4.5 terabytes di dati utili (150 Gb compressi ogni singolo giorno) in discussioni che per il 50% sono costituite di dialoghi duali e per la parte restante in discorsi a tre o più persone. Dopo aver maturato tutto il percorso analitico (nel quale è stata garantita la privacy dei singoli in un procedimento statistico interessato solo al quadro d’insieme del fenomeno) il risultato è stato per certi versi sorprendente: i gradi di separazione tra una persona ed un’altra persona qualsiasi dell’ecosistema Microsoft Messenger sono, secondo una media ponderata, 6.6. Il numero, pertanto risulta essere particolarmente vicino a quello partorito dalle indagini portate avanti nel 1960 da un gruppo di appena 64 persone presso la Harvard University ed in qualche modo conferma un numero che fino ad oggi era più una sensazione che non una vera costante matematica.
Horvitz spiega a Nature che c’è qualcosa di “magico” nel numero 6 in quanto puntualmente ricorrente in quelle che sono le comunicazioni sociali. Tale costante delle interazioni sociali, però, richiede ulteriori approfondimenti in quanto al momento frutto solo di congetture derivanti da un approccio empirico al problema. 6.6 rappresenta comunque semplicemente una media e non tanto una valutazione estendibile alla definizione tradizionale di distanza tra ogni singola entità dell’insieme: il 48% dei nodi è raggiungibile con 6 balzi, il 78% con 7. Ecco come la media viene commisurata a 6.6, mentre il caso peggiore riscontrato nei numeri porta a 29 i gradi di separazione tra le due entità “estreme” messe in correlazione.
«Worldwide Buzz: Planetary-Scale Views on an Instant-Messaging Network»: la ricerca di Horvitz e Leskovec è disponibile online (pdf) ed è utile a trarre anche altre informazioni particolarmente interessanti sulle caratteristiche delle conversazioni in rete. I sei gradi di separazione, tutto sommato, sembrano solo la minore delle informazioni della ricerca: tra le righe, infatti, sembra esserci anche molto, molto di più.
Dalla ricerca se ne trae ad esempio che persone dalle caratteristiche similari tendano con maggior favore a discutere (una inconscia ricerca di conferme?), ma in questo spaccato il parametro del sesso capovolge la valutazione: le discussioni tra persone di sesso differente tendono ad avere maggiore durata rispetto alle discussioni uomo/uomo o donna/donna. In cifre: una discussione uomo/donna dura in media 304 secondi contro i 275 di una discussione donna/donna ed i 252 uomo/uomo. Ogni singolo aspetto statistico conferma inoltre il maggior appeal dello scambio dialogico intersessuale, tanto nell’ammontare quantitativo delle discussioni quanto nel numero di messaggi inviati per ogni singola sessione.
Non è troppo difficile intuire l’importanza di mercato di ricerche di questo tipo. Per i grandi gruppi controllanti grandi quantitativi di dati, è infatti così possibile ottenere dati “macro” sui comportamenti sociali degli individui riuscendo a prevederne in qualche modo i comportamenti in una analisi delle masse che deve giocoforza basarsi su cardini molto differenti dall’analisi delle piccole comunità o (all’estremo) delle singole persone. Quelle che per chiunque possono sembrare semplici curiosità, insomma, per un grande gruppo come Microsoft possono essere fondamentali indicazioni da tenere in stretta considerazione per la progettazione di software, per il lancio di iniziative, per l’ideazione di una campagna promozionale. Perchè ha sicura rilevanza, ad esempio, il fatto che il martedì è il giorno in cui gli instant messenger sono più popolati, ma è il mercoledì quello in cui vi incorre il maggior aumento di relazioni tra le varie buddy list. Ed ha sicuramente un significato l’apatia del giovedì e del sabato in contrapposizione alla non disprezzabile attività registrata la domenica.
Una conferma giunge anche relativamente all’uso delle emoticon: le discussioni coinvolgenti le famigerate “faccine”, infatti, risultano essere più brevi, con un maggior numero di abbreviazioni nelle parole e con un minor rispetto delle elementari strutture grammaticali. La cosa non va interpretata semplicisticamente tanto come un “impoverimento” culturale, quanto più nell’ottica di un uso di un differente canone linguistico, più vicino all’oralità che non alla scrittura. L’uso delle emoticon e di un diverso codice, insomma, rappresenta una riduzione delle distanze ed un tono amichevole che avvicina le due entità in dialogo: un cambiamento spesso colpevolizzato ma, altrettanto frequentemente, non compreso da quanti additano le nuove generazioni ed i nuovi modi “illetterati” di comunicare.
La ricerca ha altresì valutato l’età della popolazione che popola gli instant messenger componendo un confronto non assoluto, ma relativo alla composizione della popolazione del mondo reale. In questo raffronto ne esce che l’età proporzionalmente più rappresentata nel mondo degli instant messenger è quella tra 15 e 35 anni, con le prime punte esponenziali tra 10 e 14 anni. Per gli uomini, oltre all’età adolescenziale, si valuta una forte presenza tra 35 e 39 anni, mentre per le donne lo stesso range è compreso tra 30 e 34 anni.
L’uso degli instant messenger in raffronto all’età degli utenti, però, evidenzia caratteristiche del tutto differenti. Un semplice schema utilizzato dai due ricercatori evidenzia come il numero delle conversazioni e dei messaggi mandati nell’unità di tempo siano molto maggiori al decrescere dell’età. Viceversa, le conversazioni risultano essere molto più corpose e durature con l’avanzare dell’età dei dialoganti. Ai margini è ben evidente la non-comunicazione tra persone di età diversa, con uno schema statistico ampiamente confermato dai dati sistemati sugli assi cartesiani: rapidità per i giovani, durata per gli “anziani” e progressività intermedia.