Non era difficile capire che Facebook è un fenomeno puro, anche e soprattutto in Italia. Non servivano numeri né sondaggi, perché la cosa era evidente. È evidente nei bar, dove per la prima volta “feisbuc” ha rotto gli indugi diventando conversazione buona per tutti; è evidente nelle scuole, ove la propria community è una sorta di status symbol da tener vivo come un tamagotchi; è evidente nella società, ove addirittura la politica ha intuito l’effetto dirompente della cosa ed ha tentato di regolamentare il tutto anche oltre la portata ed il buon senso necessari. I numeri ed i sondaggi, però, aiutano a capire meglio come il fenomeno sia cresciuto nel tempo e dove sia arrivato. Quali siano ancora i margini di sviluppo e come si inserisca l’Italia nel quadro internazionale del più noto dei social network. Il report Nielsen “Global Faces and Networked Placed” (scaricabile previa registrazione) è utile a tal fine: guardare la dimensione social dall’interno, evitando i discorsi da bar e dribblando i timori del Palazzo.
«I social network sono stati il fenomeno consumer globale del 2008. I due terzi della popolazione internet mondiale visita social network o blog ed il settore oggi conta per almeno il 10% di tutto il tempo passato su Internet. […] Facebook è diventato il player maggiore a livello globale, domina in molti stati […]. Ciò nonostante, la crescita in popolarità dei social network (e nella sua audience) è appena metò della sua storia. L’aumento del tempo che la gente passa su questi siti sta cambiando il modo in cui la gente passa le proprie ore online ed ha ramificazioni sul modo in cui la gente vive, condivide ed interagisce nelle proprie vite quotidiane». Secondo Nielsen, insomma, quel che sta succedendo è qualcosa di ampia portata, qualcosa che sarebbe estremamente riduttivo limitare alla sola manifestazione online: la gente sta cambiando le proprie abitudini ed il tutto è destinato ad avere ripercussioni sociali.
Quanto il fenomeno sia stato dirompente nell’ultimo anno è chiaro dal grafico seguente, ove è riportata la stima del tempo passato sulla dimensione “social” della Rete e la sua variazione nell’ultimo anno. Risulta evidente il dato italiano, un 113% che ci proietta tra i paesi che hanno scoperto con maggior curiosità tale dimensione:
Facebook, rispetto a tutti i fenomeni antecedenti, ha una spinta in più perfettamente leggibile nei dati demografici relativi alla sua utenza. La maggior parte dei membri del network, infatti, è compresa tra i 18 ed i 49 anni di età, il che è quasi logicamente intuibile.
Tuttavia, quel che non è facilmente ipotizzabile a priori è il fatto che proprio le fasce meno rappresentative stanno vivendo momenti opposti: i più giovani sono in forte calo, i più anziani in forte aumento. I primi (da 2 a 17 anni), probabilmente, stanno sperimentando le proprie attitudini anche su altri canali senza fossilizzarsi su Facebook (-9%); i secondi (oltre i 65 anni), per contro, hanno sentito i morsi della curiosità ed ora stanno arrivando, pur se in relativo ritardo, a rispondere agli stimoli che il gran “buzz” attorno alla community sta creando anche nel mondo offline ( 7%).
Inevitabilmente le considerazioni conseguenti la crescita del fenomeno a livello globale sono rilevanti: una crescita di questo tipo non può che aver sottratto tempo, visibilità ed attenzione ad altri ambiti, ed il rimodellamento delle strategie di advertising è la prima delle conseguenze in un momento storico tanto complesso per l’intero comparto. In generale la Rete non può che giovarsi di tale novità, poiché la sfiducia nutrita nei confronti dei mezzi tradizionali potrebbe (dovrebbe) incoraggiare gli inserzionisti a sperimentare i nuovi canali. Partendo dalla dimensione social della rete.
Quel che Nielsen suggerisce (in seguito ad una analisi del modo in cui la pubblicità è oggi interpretata in Rete) è soprattutto un approccio nuovo e dialogico con gli utenti. La pubblicità, insomma, non può guardare alla dimensione social ignorando il dialogo. I sistemi “push” sono destinati a scomparire, mentre sono destinati ad emergere situazioni nelle quali l’utente e l’inserzionista sono più vicini, si parlano, si scrutano e fanno conoscenza diretta. L’autenticità diventa un dogma e, come in ogni community, l’elemento esterno sarà accettato solo se si presenterà con la giusta discrezione e con la capacità di adattarsi al codice ed alle regole della community stessa.
L’esperienza UK è in tal senso interessante. Facebook, infatti, sta crescendo anche nel Regno Unito a tassi da fenomeno, ma ciò nonostante non ha saputo monetizzare i propri numeri adeguatamente. La concorrenza, invece, ha saputo far meglio: tanto Bebo quanto MySpace, pur partendo da cifre minori, hanno raccolto un maggior numero di advertiser ed un maggior numero di campagne pubblicitarie.
Questione di target, questione di formati, questione di conoscenza della piattaforma: Facebook ha ancora molto da fare a tal proposito e la cosa è nota. Per questo il network sta sperimentando sistemi sempre nuovi, pur rimanendo attualmente al palo. MySpace, però, parte ad esempio da una situazione differente: al boom immediato è seguita l’acquisizione da parte di Rupert Murdoch e tutto ciò che ne consegue a livello di brand. Bebo vive il suo vertice massimo proprio nel Regno Unito, Facebook invece sta arrivando ora, quando il settore è in fase di stallo, e presentandosi con strumenti nuovi che ancora molte agenzie debbono capire. Per monetizzare ci sarà tempo, insomma, e finché piovono capitali da investitori esterni è possibile investire senza pensare con troppa assiduità a questo aspetto.
I numeri globali proiettano Facebook a quota 108 milioni di utenti. MySpace è fermo a 81 milioni, mentre per gli altri rimangono le briciole. Interessante, però, la quota di crescita di LinkedIn, il lato “business” della dimensione social della rete: 137% nell’ultimo anno, il che lo rende uno dei nomi comunque più interessanti del momento. In Italia i tre social network più diffusi sono Facebook, MySpace e Netlog: sebbene si parli soprattutto dei primi due, il terzo è quello che più di ogni altro affonda le radici nella socialità per sviluppare una trama di conoscenze spesso sporadiche, mordi e fuggi interessati che sviluppano pochi contenuti e scarso materiale buono per portare il network al livello della coppia di testa.
Un ulteriore grafico Nielsen è interessante anche per confrontare quali siano i contenuti stessi della dimensione social. Il raffronto tra Facebook e MySpace è l’occasione buona per sviluppare anche questo tipo di analisi, e la differenza che emerge tra le parti è primariamente in ambito musicale (essenza stessa della nascita di MySpace rispetto al diretto concorrente):
L’ultima parte della ricerca Nielsen è dedicata al mobile. Inevitabilmente. Sono in molti, infatti, ad aggiornare i propri messaggi di status direttamente dal telefonino e le nuove realtà di navigazione tascabili stanno per fondere e confondere quella che è la realtà online con quel che è l’offline. Una realtà sola, incentrata sull’utente, attorno al quale c’è un mondo ed una serie di community che ruotano.
Con l’avvento del mobile il tempo stesso di presenza sui social network è destinato a sfumare, ad estendersi in modo indefinito fino a coinvolgere l’intera giornata: avere uno smartphone in tasca significherà essere automaticamente su un social network ed essere, al tempo stesso, parte della realtà e parte della Rete tramite la dimensione social della stessa. In Italia quest’ultima realtà esiste già da tempo grazie agli SMS: il contatto continuo e persistente, fatto di una miriade di piccoli nuclei comunicativi, ha creato le basi per l’odierno cambiamento di paradigma. I nuovi abbonamenti con traffico dati, le nuove applicazioni ed i nuovi dispositivi cellulari stanno per trasformare in realtà un qualcosa che, soprattutto in Italia, da tempo si matura: un “always on” fatto di rapporti sociali, di “ciao, come stai?” e di “tt bene, grazie” moltiplicati per milioni di persone.
Facebook, forse, c’era già prima ancora che ci fosse. Perché, per motivi vari, proprio in Italia sembra che questa dimensione social abbia voglia di urlare e di farsi viva realtà. C’è desiderio di incontro e di compartecipazione, di sentire la presenza altrui e di legarla alla propria. I cellulari sono ciò che ha rallentato la diffusione di Internet, ma ora potrebbero essere quelli che veicoleranno l’esplosione definitiva delle reti sociali. Se riusciremo a dimenticare gli SMS (o, più pragmaticamente, a ridurne i vantaggi economici conseguenti per i carrier nostrani), forse potremo davvero prendere per mano un fenomeno e far vedere a tutti ciò che possiamo insegnare. Anche noi, anche se ultimi degli ultimi nell’approccio alla Rete.
La dimensione social è tutto questo. E l’Italia ci sguazza, ci si ritrova, vi si è ambientata subito. Non siamo forse early user, ma siamo sicuramente tra i più attivi. Per una volta, tra i primi, i più in vista, i più importanti. A suo modo, è un primato anche questo: capirne i motivi sarebbe un buon modo per far fare un passo avanti all’intera dimensione social del nostro paese. E non solo a quella online.