Abbiamo sempre saputo che si passa molto tempo sui social network, ma esattamente quando? Uno studio ha cominciato ad analizzare metodicamente queste attività scoprendo il bioritmo di questo gigantesco formicaio da mezzo miliardo di abitanti.
Vitrue, una società che si occupa di brand sui social media, ha stilato un libro bianco sull’argomento, intitolato “Managing Your Facebook Community: Findings on Conversation Volume by Day of Week, Hour and Minute”, dove ha analizzato i post su Facebook dal 10 agosto 2007 al 10 ottobre 2010 coi 1.500 marchi più diffusi: un totale di 1,64 milioni di post e 7.560.000 commenti (i “Like” sono esclusi).
Da questo studio si possono estrarre quattro considerazioni principali:
- I picchi di utilizzo sono alle 11, alle 15 e alle 20, in orari simili a quelli dei siti Web, soprattutto quelli di informazione;
- La punta massima di afflusso si raggiunge alle tre del pomeriggio dei giorni feriali;
- L’utilizzo durante la settimana, considerando la diffusione globale del social network, è piuttosto stabile, tuttavia, per qualche motivo, il mercoledì è costantemente più trafficato;
- I fan sono meno attivi di domenica rispetto a tutti gli altri giorni della settimana.
Un interessante articolo su Mashable riflette su altri numeri. In particolare, pare che i post pubblicati di mattina abbiano performance migliori del 39,7% rispetto a quelli pomeridiani: il sistema premia il tempo necessario perché un dato post si diffonda (la sua “virulenza”), e lo fa ciclicamente, con due picchi nel primo quarto d’ora e nel terzo dalla prima ora della pubblicazione.
Questo ha senso se si pensa alle riunioni di lavoro: un’occhiata a Facebook, prima di immergersi in un lavoro, è più probabile che accada all’inizio di un’ora rispetto alla parte centrale, piuttosto al limite verso la fine.
Resta però valido un altro principio importante, che lo distingue dai siti di informazione: il 65% degli utenti non usa Facebook quando è a scuola o sul lavoro, perciò un marketing orientato al classico orario di ufficio perderebbe una quota importante.
Ovviamente questi generi di studi statistici servono alle aziende, ma nessuno ancora ha studiato seriamente il comportamento degli utenti dal punto di vista delle preferenze, dei tipi di contenuto a seconda di età, area geografica, background.
Quel che si sa, però, è che molti sociologi si sono sbagliati. Ad esempio, la vicinanza razziale o di credo religioso è molto meno importante nella scelta dei propri amici, almeno negli USA, come ha dimostrato un altro recente studio dell’Università di Harvard.