Da qualche giorno è disponibile un modulo online per chiedere a Google la cancellazione di link specifici dalle pagine dei risultati. È la conseguenza diretta di quanto stabilito il 13 maggio dalla Corte di Giustizia Europea, che si è espressa con una sentenza in merito al tanto chiacchierato tema del diritto all’oblio, riconoscendo la legittimità delle richieste avanzate da un utente spagnolo, ritenutosi danneggiato dall’indicizzazione di alcuni articoli relativi ad una vecchia vicenda giudiziaria.
A quanto pare, la possibilità di sollecitare l’eliminazione dei risultati nelle SERP non è passata inosservata: in una settimana sono già state inoltrare 41.000 richieste. A riportare il numero è il Financial Times, che però purtroppo non fornisce alcuna indicazione territoriale: in altre parole non è dato a sapere quante provengano dall’Italia o dagli altri paesi europei. Ci si può comunque rifare alle percentuali rilevate a fine maggio da Search Engine Land, secondo le quali dal nostro paese proverrebbero il 3% circa delle segnalazioni. In testa la Germania con addirittura il 40%, seguita da Spagna (14%) e Regno Unito (13%).
La palla passa ora nelle mani del motore di ricerca, che le passerà al vaglio una ad una, verificando l’esistenza dei requisiti necessari per procedere all’eliminazione, chiedendo eventualmente ulteriori informazioni al diretto interessato oppure respingendo la richiesta. Va infatti ricordato che la compilazione del modulo non porta automaticamente alla cancellazione dei link dalle pagine dei risultati, ma rappresenta solamente il primo step di un percorso ben preciso e strutturato.
I primi effetti concreti del diritto all’oblio saranno tangibili a partire da metà giugno (sempre secondo il Financial Times), quando Google inizierà a sfoltire le proprie SERP togliendo link specifici come chiesto dai navigatori. Si tornerà dunque a parlare della questione, che già ha saputo dividere l’opinione pubblica tra coloro che sostengono il diritto alla privacy a tutti i costi e chi invece teme ripercussioni dirette sulla libertà d’espressione.