La sentenza della Corte di Giustizia Europea in tema di diritto all’oblio è destinata a far discutere. Nelle prossime ore saranno molti i giudizi sprezzanti nei confronti di quanto sentenziato in conclusione della causa C‑131/12: il passo indietro è infatti del tutto evidente, ma se retromarcia dovrà essere, allora potrà prendere il via soltanto per mezzo di quegli stessi ingranaggi che hanno in questo caso supportato la decisione della CURIA. Se la legge dovrà cambiare direzione, insomma, dovrà essere la giurisprudenza a dettarne le modalità, e dovrà essere una precisa indicazione istituzionale e dover delineare esattamente il perimetro e il futuro del diritto all’oblio.
Molti i contrappesi che intervengono in un caso di questo tipo. Deliberare in tema di diritto all’oblio, infatti, significa da una parte determinare il diritto alla privacy dei singoli, ma dall’altra anche circoscrivere la libertà di espressione e il diritto ad una libera informazione del pubblico. Ma non è tutto qui. Nel momento in cui si pone uno specifico diritto nelle mani degli utenti, occorre altresì valutare se sia possibile per altri garantire il diritto stesso, o se invece tale approccio diventi mero esercizio di stile che va contro la realtà dei fatti.
Se la Corte di Giustizia ritiene giusto ed equo il fatto che i motori di ricerca debbano rispondere ad ogni singola richiesta di rimozione proveniente da privati, sarà un’altra Corte o magari il Parlamento Europeo a dover spiegare come e perché tale approccio non sia perseguibile, come vada smontato e perché occorra sostituirlo con uno uguale e contrario. La legge non si combatte per deduzioni istintive, dunque l’interpretazione della Corte andrà ora sviscerata e compresa, analizzata e ribaltata. A quel punto si potrà iniziare ad agire costruttivamente per mettere in piedi quello che è già un approccio universalmente riconosciuto da coloro i quali comprendono le dinamiche del Web, conoscono il modus operandi dei motori di ricerca e affondano la loro esperienza in medesimi intoppi già registrati in passato.
Se la sentenza della Corte di Giustizia fosse per forza di cose il punto di partenza da cui interpretare il diritto all’oblio negli anni a venire, le conseguenze sarebbero molte e gravi:
- si aprirebbe un nuovo fronte di censura online, poiché verrebbero cancellati dai motori di ricerca elementi base per la ricostruzione di storie, vicende, memorie (Open Rights Group);
- verrebbe a identificarsi un tracollo della libertà di espressione, poiché la semplice narrazione del vero potrebbe essere annichilita da un diritto all’oblio che favorisce il diritto di dimenticare rispetto al diritto di ricordare (Index on Censorship);
- i motori di ricerca non solo non avrebbero la possibilità di verificare tutte le richieste ricevute, ma avrebbero anche il dovere di giudicare caso per caso quali informazioni siano di pubblico interesse e quali no, determinando così arbitrariamente cosa debba essere reperibile e noto al pubblico e cosa meno;
- i motori di ricerca non solo non avrebbero la possibilità di verificare tutte le richieste ricevute, ma avrebbero il potere di stabilire di propria sponte quali informazioni mettere a disposizione e quali nascondere, rendendo così di fatto l’utente privato meno forte rispetto alla tracotanza degli algoritmi;
- i motori di ricerca non solo non avrebbero la possibilità di verificare tutte le richieste ricevute, ma avrebbero anche il potere di scegliere quali fonti contengano materiale da nascondere e quali no, aprendo ulteriori fronti di scontro poiché l’arbitrarietà del sistema andrebbe anche ad influire sul traffico online.
Occorre fare un passo indietro, forse, per ridefinire il concetto di diritto prima ancora di interpretarlo a livello normativo e giurisprudenziale: il diritto all’informazione aperta ha la priorità sul diritto all’oblio? In ogni caso, quali sono le eccezioni e come le si può regolare in modo chiaro e strutturale? Chi si fa arbitro di tali decisioni e quali meccanismi possono garantire l’una e l’altra parte (il singolo e il pubblico, il motore e gli utenti)?
Se il punto di arrivo appare insomma banalmente chiaro e condiviso, il percorso che occorrerà compiere per arrivarci è invece oscuro ai più: la sentenza ha macchiato le carte sul diritto all’oblio e ora qualcuno dovrà porvi rimedio, parlando la lingua della legge e approfondendo nei dettagli il tema una volta per tutte. Perché l’alternativa non è un dato di fatto attuabile: l’alternativa è il caos.