Il “Diritto all’oblio“, sancito in Europa da una decisione della Corte Europea, incappa nel suo primo intoppo. Non appena messo in pratica, infatti, il nuovo precetto ha dimostrato tutti i suoi limiti sotto più punti di vista, dimostrandosi al tempo stesso iniquo, inefficace e scarsamente in linea con quella che è la libertà di espressione. Una manovra scomposta, insomma, che utilizza Google come interprete primo ed unico in virtù della sua posizione dominante nel mondo della ricerca online.
Il caso più eclatante trapela dalla BBC, a cui è giunta notifica della cancellazione del link verso un vecchio articolo che narrava i fatti dello scoppio della crisi bancaria negli USA. L’unica persona citata nell’articolo era un pezzo grosso di Merrill Lynch, Stanley O’Neal, il che ha lasciato ipotizzare una sua specifica richiesta di rimozione nonostante il suo nome non fosse oggetto di critiche particolari o di notizie smentite nel tempo. Una analisi più approfondita ha aperto ad una seconda ipotesi: che la rimozione fosse frutto della segnalazione proveniente da qualcuno che ha commentato l’articolo o che è stato nominato nei commenti.
Questo unico caso è stato però fin da subito emblematico:
- chi ha cercato l’oblio, ha in realtà trovato l’effetto contrario: gli articoli sul caso, nonché i numerosi link scaturiti dal passaparola, hanno reso l’articolo in oggetto più famoso che mai;
- la rimozione su Google.uk è chiaramente un omissis parziale, poiché è sufficiente una ricerca su Google.com per trovare quanto cercato senza filtro alcuno;
- la cancellazione di articoli di testate editoriali fa a pugni con la libertà di espressione, poiché rimuove la narrazione di fatti storici, non necessariamente superati da smentite successive e comunque parte di una ricostruzione storica impossibile da svolgersi se arbitrariamente rimossa da un archivio collettivo;
- la rimozione è frutto di una sommatoria di elementi arbitrari: la scelta della rimozione stessa, il processo di segnalazione e analisi, il senso critico di Google, la capacità dell’utenza di aggirare la barriera;
- la rimozione da Google non implica una rimozione coatta anche da Google o da altri motori, rendendo così oltremodo arbitrario e parziale l’impianto del processo di cancellazione.
Alcuni degli articoli rimossi nei giorni scorsi ha fatto in seguito ricomparsa sul motore di ricerca, evidenziando l’approssimazione dell’approccio attuale e comunque la non volontà di affossare la libertà di espressione. La confusione non giova però all’interpretazione di quanto posto in essere. Google da parte sua spiega di aver intrapreso una strada di apprendimento sulla quale migliorerà poco per volta le procedure di analisi e rimozione, così da essere quanto più federe alla Corte e quanto più efficace nelle decisioni.
Sarebbero oltre 70 mila le richieste arrivate a Google nelle prime settimane di apertura del modulo. In linea teorica Google è incaricata dall’UE di vagliare le singole richieste ed a tal fine dovrebbe mettere in piedi un piccolo esercito di valutatori addestrati a controllare le missive ricevute per porle in essere secondo il giudizio arbitrario del motore. Manca del tutto di chiarezza il sottile filo rosso che deve dividere i link opportuni da quelli inopportuni, e il potere/responsabilità di stabilire ove vada posizionata è stato messo nelle mani di una azienda privata, non europea, che dovrà farne uso nell’interesse collettivo.
Difficile pensare che sul diritto all’oblio la questione si stia per avviare verso una situazione di maggior trasparenza: l’impianto della decisione era zoppo fin dall’inizio, la sua messa in opera è stata sgangherata e la sua applicazione alla realtà ha immediatamente iniziato ad evidenziare tutti i problemi del caso. Al momento Google non ha ancora avviato le censure sulle SERP in Italia, ma presto anche nel nostro paese inizieranno a sparire link in risposta alle migliaia di richieste pervenute.
Due le possibilità immediate per gli utenti: primo, accettare la sentenza, adeguarsi e imparare a cercare in modo più approfondito in caso di difficoltà nel reperire materiale potenzialmente rimosso; secondo, accettare una versione non madrelingua del motore e rifugiarsi sul porto franco di Google.com.