Google dovrà eliminare dall’indicizzazione nelle proprie SERP gli URL che portano a informazioni su un cittadino italiano da tutte le versioni del motore di ricerca, sia a livello continentale sia extraeuropeo, qualora la cancellazione dei link risultasse conforme a quanto previsto dalle linee guida del diritto all’oblio.
Ad annunciarlo è il Garante Privacy, riferendosi al provvedimento 557 del 21 dicembre 2017. Si cita il caso di un cittadino italiano residente negli Stati Uniti che ha chiesto la deindicizzazione di diversi URL conducenti a messaggi e articoli anonimi pubblicati su forum e siti amatoriali, considerandoli gravemente offensivi per la propria reputazione. Tra questi anche informazioni giudicate false sul proprio stato di salute e gravi reati connessi alla propria attività di docente. L’interessato ha inoltre lamentato che, subito dopo la rimozione di un link, ne sono comparsi altri di natura analoga.
L’autorità ha dunque ritenuto che la “perdurante reperibilità” di contenuti non corretti e inesatti abbia un impatto “sproporzionalmente negativo” sulla privacy dell’individuo. La presenza di dati riguardanti la salute è tra le altre cose, secondo le linee guida stilate dai garanti europei, uno dei criteri da tenere in considerazione quando ci si trova a stabilire cosa deindicizzare e cosa invece mantenere nelle SERP per tutelare il diritto all’informazione. Nell’iter decisionale va considerata la natura del contenuto per il quale viene chiesta la rimozione: è necessario ad esempio tenerne conto nel caso in cui si tratti di “informazioni che sono parte di campagne personali contro un determinato soggetto, sotto forma di rant (esternazioni negative a ruota) o commenti personali spiacevoli”, in presenza di “risultati contenenti dati che sembrano avere natura oggettiva ma che sono, in realtà, inesatti, in termini reali” e “se ciò genera un’impressione inesatta, inadeguata o fuorviante rispetto alla persona interessata”.
Sebbene non si possa parlare di diritto all’oblio globale, almeno non nella forma chiesta dalle autorità di alcuni paesi, quanto imposto dal Garante italiano sembra andare in quella direzione, una prospettiva che Google ha giudicato più volte non in linea con la propria visione.