Jammie Thomas, trentenne disoccupata, ha vinto la sua causa in tribunale contro la RIAA.
La Thomas era stata condannata al pagamento di 222 mila dollari per violazione di copyright, ma adesso non dovrà sborsare nemmeno un centesimo.
È stata giudicata innocente dal giudice perché non ha distribuito i file nella rete peer to peer, bensì si è limitata a metterli a disposizione. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è: mettere a disposizione non è sinonimo di distribuire se non si può provare che qualcuno abbia davvero scaricato quel file.
Per fare ciò bisognerebbe o sequestrare i computer dei downloader, o sequestrare i server (sempre se non si tratta di una rete server-less, come lo è la kad in eMule), operazioni non proprio semplicissime per le major, che quindi cercano altre strade, come quella di far chiudere tracker torrent o attivarsi per far sì che gli ISP blocchino la connessione ai sospetti utilizzatori di sistemi P2P “illegali”.
Intanto Jammie può tirare un sospiro di sollievo, da disoccupata qual è, mantenendosi con assegni sociali, non avrebbe di certo potuto pagare l’ingente somma richiesta dalla major (9.250 dollari per ogni file condiviso) e quindi può dormire sogni più tranquilli.
In generale possiamo invece dire che vi è stato il simbolico trionfo giudiziario degli utenti sulle major, le quali alla fin fine non sanno più a cosa aggrapparsi e tentano sempre nuove vie per frenare la diffusione di opere protette: non risparmierebbero energie e denari se si attivassero anche loro nel legalizzare il peer to peer introducendo per esempio delle licenze collettive?