Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha parlato sabato al quartier generale della CIA in Virginia e, forte di alcune nomine di suo pugno, ha completamente cambiato l’atteggiamento nei confronti dei servizi segreti: ora non solo gli stanno bene, ma assicura di essere dalla loro parte e che nessuno più di lui rispetta questi staff. Una giravolta a cui ci dovremo abituare. Un discorso da vero tycoon che ha tagliato qualche testa in un’azienda e si fa vivo per ridare la carica, com’è nella sua esperienza di non-politico. Certamente nel quarto d’ora dello speech Trump ha in pratica fatto a pezzi ogni piccolo progresso fin qui raggiunto sulla sorveglianza globale.
Ce ne sarà di sorveglianza e raccolta di dati a strascico, stando alle prime parole del 45° inquilino della Casa Bianca. Il datagate non ha alcun peso, nessuno il parere degli attivisti, soprattutto americani, che in questi anni hanno incalzato l’amministrazione Obama dopo le rivelazioni di Edward Snowden. Con una superficialità imbarazzante (che il direttore uscente John Brennan non ha esitato a definire “disgustosa”), il presidente ha speso i suoi 15 minuti che avrebbe dovuto dedicare alle vittime rappresentate dal memoriale che stava alle sue spalle per parlare invece della folla presente alla cerimonia del suo insediamento, prendersela coi giornalisti, enumerare le sue copertine sul Time e poi dire una sola frase degna di nota, che però fa capire la visione completamente impermeabile ai diritti civili:
Fino ad oggi siamo stati un po’ contenuti. Non abbiamo usato tutti i mezzi di cui disponiamo per combattere i nostri nemici.
Trump to CIA: "We have not used the real abilities that we have [in our wars]. We’ve been restrained." https://t.co/7Sr0kEJnpy
— Glenn Greenwald (@ggreenwald) January 22, 2017
Trump e la cyberwarfare
La posizione di Trump rispetto alla cybersorveglianza nel complicatissimo quadro geopolitico attuale è tutta da capire. Concretamente, la nomina di Mike Pompeo, un “falco” repubblicano favorevole ai metodi di tortura e alla sorveglianza globale, dice già quali siano le intenzioni dell’amministrazione appena insediata. Questa operatività estera però potrebbe essere influenzata dalle enormi frizioni tra il presidente e le agenzie che ancora oggi indagano su presunte interferenze russe alla campagna elettorale e al corretto svolgersi del voto; attualmente, alcuni soci dello stesso Trump sono indagati dal controspionaggio per le loro relazioni con Putin, e la stessa CIA è coinvolta in queste indagini che soltanto poche settimane fa il neo eletto ha definito come una “caccia alle streghe”, paragonandola addirittura al nazismo.
Intelligence agencies should never have allowed this fake news to "leak" into the public. One last shot at me.Are we living in Nazi Germany?
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 11, 2017
Insomma, Trump è intervenuto al pentagono con un discorso tutto incentrato su di sé, intrattenendo lo staff con battute da cabarettista che hanno strappato applausi e risate (ad esempio quella su Obama che si sarebbe lamentato di aver ricevuto troppo supporto, riferendosi alla chiusura del programma post-11 settembre) e ha promesso il massimo del sostegno contro il “”terrorismo islamico radicale”.
Had a great meeting at CIA Headquarters yesterday, packed house, paid great respect to Wall, long standing ovations, amazing people. WIN!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 22, 2017
La visita di Trump rompe ogni tradizione: nessun presidente degli Stati Uniti prima di lui ha scelto il Pentagono come primo appuntamento dopo la cerimonia inaugurale. Va da sé che nessun presidente era mai stato accusato – indirettamente – di avere relazioni pericolose col leader di una potenza straniera e avversaria come la Russia. Così la visita arriva in un momento in cui la leadership morale e tecnica dell’intelligence è in mutamento. Il candidato di Trump a guidare la CIA deve ancora essere confermato dal Senato, procedimento ostacolato in tutti i modi dai democratici. Solo una piccola percentuale della forza lavoro della CIA era presente al discorso del presidente e solo due dei candidati di Trump – il segretario alla Difesa James Mattis e il Segretario alla Sicurezza Nazionale John F. Kelly – sono stati confermati dal Campidoglio.
Una fonte di frustrazione che da politica può diventare geopolitica e globale, cioè dando man forte alla cybersorveglianza e ai metodi più estremi, con l’obiettivo ufficiale di combattere e sconfiggere il terrorismo e quello meno pubblicizzato di conquistare la fiducia di agenzie sin qui trattate piuttosto male e finite nel tritatutto mediatico. Ora però a Trump l’intelligence serve.