L’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha citato in giudizio i tre colossi della tecnologia Twitter, Facebook e Google, e i loro amministratori delegati. Il motivo della causa legale che il Tycoon ha intenzione di scatenare è ovviamente legato al fatto di essere stato bandito dalle loro piattaforme social, in seguito ad alcuni suoi post in cui denunciava brogli elettorali durante le ultime elezioni presidenziali americane.
Donald Trump all’attacco
In una breve conferenza tenuta presso il suo golf club di Bedminster, N.J., lo stesso Tycoon ha spiegato nel dettaglio motivazioni e obiettivi della causa: “Sono stato censurato ingiustamente da queste società. Hanno violato il Primo Emendamento della nostra Costituzione, che garantisce a qualsiasi cittadino, anche in politica, la libertà di parola”. E poco importa se molti costituzionalisti statunitensi, a cominciare da Eric Goldman, professore di diritto presso la Santa Clara University School of Law e co-direttore dell’High Tech Law Institute, hanno spiegato che tale leggi si applicano al Governo, non alle società del settore privato, e che pertanto “l’idea di trattare gli amministratori delegati di Facebook e Twitter come un’estensione del governo è illogica“.
Obiettivo la Sezione 230 del Communications Decency Act
Trump e i suoi legali sono convinti della bontà delle loro argomentazioni e quindi di poter vedere accolte le loro richieste. Le aziende proprietarie di social media sono autorizzate, in base alla legge vigente degli Stati Uniti, a moderare le proprie piattaforme. Sono protetti da una disposizione, nota come Sezione 230, che esonera le società Internet dalla responsabilità per ciò che viene pubblicato sulle loro reti e consente loro anche di rimuovere i messaggi che violano i loro standard. Gli avvocati del Tycoon chiedono pertanto alla corte di dichiarare “incostituzionale” la Sezione 230, e di ripristinare l’accesso ai profili dell’ex presidente, così come quello degli altri suoi sostenitori che sono stati bloccati. Con questa causa il magnate americano chiede anche al tribunale di impedire alle aziende tecnologiche di “censurarlo” in futuro.
“Il nostro caso dimostrerà che questa censura è illegale, incostituzionale e completamente anti-americana”, ha affermato Trump. “Ricordate, se possono farlo a me, possono farlo a chiunque”. Jack Dorsey, fondatore e proprietario di Twitter, che qualche mese fa aveva ammesso che il ban fosse “un fallimento nel promuovere una sana conversazione pubblica, perché ci divide e limita la possibilità di chiarimento, redenzione e apprendimento creando un precedente pericoloso, ovverosia il potere che un individuo o un’azienda ha su una parte della conversazione pubblica globale”, stavolta non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Idem Mark Zuckerberg, accusato in queste ore di censura sul suo Social un po’ in tutta Europa, e Google, che secondo indiscrezioni prima di esprimersi aspetta di ricevere copia della documentazione dal tribunale.