Don’t be evil Google. L’ho scritto di getto, appena saputo di Knol. È stata una reazione istintiva, di quelle che vengono fuori a pelle. Un po’ come quando ci si sente traditi e si dice quel che non si vorrebbe dire. A distanza di qualche giorno, a mente fredda e dopo aver abbozzato un ragionamento lucido, ancora non vorrei dirlo, ma ancora lo debbo invece dire: per favore, don’t be evil Google…
Knol è un nuovo grande contenitore che Google sta mettendo a punto per raccogliere informazioni di varia natura con gli utenti chiamati a raccolta per contribuire alla costruzione dell’ennesima grande enciclopedia sulla rete. Dunque, innanzitutto, trattasi di un enorme spreco di risorse equivalente alla duplicazione di quella che è ad oggi la più grande enciclopedia libera esistente al mondo. Il modo in cui tale raccoglitore sarà organizzato e gestito detterà le direttrici attraverso cui il progetto si evolverà. Una cosa è certa: al centro non ci sono solo i contenuti, ma anche gli autori. Le persone. Chi firma un documento assume un ruolo ed una valenza, funge da garante e da editore, si assume le proprie responsabilità ricavandone in cambio fama e, chissà, danaro. La pubblicità tutto può. Uno screenshot illustra una pagina di esempio con annessi e connessi: le informazioni sull’autore, le pagine di editing, la struttura in stile blog, eccetera. Eppure c’è qualcosa che puzza di bruciato.
Come tutti i sistemi che si espandono a dismisura, viene il momento in cui tutto si inverte ed inizia la tendenza all’implosione. Google potrebbe aver fatto questo piccolo grande passo falso (“potrebbe”, per carità!). Perchè va ricordato: Google si è sempre proposto come uno strumento in grado di organizzare l’accesso a tutta l’informazione del mondo. Il grande valore di Google è stato quello per cui nel tempo il motore si è frapposto tra utenti e contenuti regolando gli accessi e controllando ogni dinamica contestuale. La pubblicità ha sublimato tutto ciò trasformando in danaro la posizione di controllo guadagnata, ma in tutto ciò il sistema sembrava chiaro: io ho bisogno dei contenuti, Google mi aiuta a trovarli. Ne nasce un valore basato sul collegamento. Ora il meccanismo cambia perchè Google non intende più solo collegare le entità, ma controllarle direttamente. Intende ospitare i contenuti e classificare i profili. Chissà, prima o poi ci sarà un PageRank per ognuno di noi: saremo più o meno correlati ai contenuti, dunque più o meno interessanti ai fini dell’ordinamento. E non esserci significherà avere PR=0. Ovvero non esistere.
Il principio espresso dal servizio in sè è profondamente nuovo per Google e profondamente vecchio per il web: la tendenza a porsi al centro è infatti molto 1.0…
Poche settimane fa un’analisi (ahimè non trovo il link e spero mi si conceda di riportare una teoria senza citare la fonte) suggeriva una nuova strategia per Google: siccome proporsi come semplice motore di ricerca potrebbe in futuro non essere più troppo remunerativo, occorre ora diventare una vera e propria repository. Occorre insomma avere direttamente in gestione il materiale per potervi lucrare davvero sopra. L’acquisto di YouTube, in effetti, si inserisce in questo contesto. Creare una nuova Wikipedia potrebbe per certi versi ricalcare le stesse impronte.
Google, probabilmente, intende solo far fiorire quella parte di mercato che ad oggi nessuno coltiva: Wikipedia è libera, gratuita e priva di AdSense. Google potrebbe mantenere le prime due opzioni, inserendo però piccole pubblicità contestuali ed ottenendo inoltre tutta una serie di vantaggi ulteriori basati sul rapporto diretto con gli utenti i quali sarebbero nuovamente calamitati sulle pagine del gruppo di Mountain View assecondando le regole dettate dal motore ed offrendo la propria opera agli algoritmi di Larry Page e Sergey Brin.
Troppe cose lasciano l’amaro in bocca in questa faccenda. Perchè se è sano e salutare avere anche per Wikipedia un concorrente importante, meno sano e salutare è sapere che la concorrenza giunge da un grande gruppo e non, piuttosto, dal basso. Google farà sicuramente le cose per bene: massima equità nel PR con Wikipedia ancora per molto tempo in posizione privilegiata nelle SERP del motore; massima libertà di espressione e di critica, massimo impegno nel definire regole che ottimizzino l’apporto di materiale di valore; massima tutela della privacy. In tutto ciò però qualcosa sfugge: Google accentra su di sè quel mondo che fino ad oggi aveva contribuito a decentrare in modo organizzato. Oggi Google ospita blog, video, foto. Presto ospiterà documenti e qualsiasi tipo di backup remoto si voglia. Google vuole avere, non solo più interconnettere: è questa la sensazione che suscita prurito.
La difficoltà perenne a questo mondo è nel fatto che l’informazione disponibile si moltiplica ed occorre organizzarla al meglio affinchè sia reperibile nel momento in cui serve. Internet aveva fatto compiere un grande passo avanti in questa battaglia, ma con il moltiplicarsi ulteriore e continuo del materiale occorre trovare nuovi sistemi. Google ha pensato così alla responsabilizzazione degli utenti, ma ancora il tutto non regge: invece di organizzare meglio i contenuti (tramite la gestione in ricerca ad esempio di Wikipedia), si stimola l’utenza a replicarli, a moltiplicarli, a crearne di nuovi. Il disordine aumenta, invece di diminuire.
Perchè scrivere un concetto su di una enciclopedia Google piuttosto che sul proprio sito personale? Quali dinamiche perverse prenderanno forma? Guadagno e fama sono motivazioni che possono traviare il lavoro? Un incoraggiamento oltre al semplice volontariato ed all’opera per il bene comune può aiutare ad avere un riferimento nuovo e migliore?
Ormai c’è una Internet basata su Google e una Internet basata sulla moltitudine dei servizi esistenti. E se al posto di Google non ci sono Microsoft o Yahoo, è solo perchè a Mountain View si sono fatte le cose per bene, meglio di altrove. Google mette sotto il proprio ombrello servizi sempre più performanti e grazie ad essi si guadagna la fiducia e le informazioni naturalmente prodotte e rappresentate dagli utenti. Il giudizio sul servizio in sè deve forzatamente rimanere sospeso: Knol va provato e sviscerato prima di poter abbozzare commenti seri. Però c’è qualcosa di diverso rispetto al passato nella mossa di Google. Il successo del progetto non è nemmeno in discussione probabilmente: il brand è troppo forte ed è capace di trainare qualunque idea ormai. Però attorno ad una mossa simile ci sono troppi punti di domanda per non pensare che si stia configurando un momento particolarmente importante per il futuro del web e del motore di ricerca. Sebbene il tutto sia naturalmente mosso dalle leggi del mercato, c’è un’illusione che non vuole morire e che a Google chiede quotidiana conferma: Google vuole mettere a disposizione, non possedere. Ordinare, non moltiplicare. Migliorare, non sostituire. Vero? Perchè se così non fosse, sarebbe una speculazione pericolosa. Molto pericolosa.
Ancora non si capisce bene cosa stai esattamente facendo, Google. Anche se sappiamo che lo farai bene. Ma non basta far le cose per bene a volte. In certi casi è più importante che siano chiare le buone intenzioni.