L’83 per cento delle prostitute ha un profilo Facebook, utilizzato per promuovere la propria immagine e informare i clienti (luoghi, contatti, tariffari). Questa è l’incredibile conclusione a cui è arrivato uno studio della Columbia University.
Il lavoro del professor Sudhir Venkatesh appare all’interno di un più grande reportage di Wired sulla prostituzione a New York e indaga un fenomeno che gli osservatori non avevano previsto.
Dopo che le offerte a contenuto sessuale erano state escluse su Craigslist (oltreoceano un sito molto utilizzato, quasi indispensabile per trovare e offrire occasioni di lavoro), tutti si chiedevano su quali altri siti “poco raccomandabili” sarebbero finite quelle inserzioni. Invece, è stato Big F a farla da padrone.
Se nel 2003 non compariva in nessuna statistica, nel 2008 già rappresentava il 25 per cento delle fonti delle prostitute, a discapito dei club. Nel 2010 il balzo in avanti è impressionante, probabilmente per la discrezione che il Web permette insieme alla vasta platea del social network.
A pensarci bene, è logico: non è forse Facebook il sito più frequentato al mondo per le relazioni sociali? E la prostituzione non è, a suo modo, una forma di relazione, anche se basata sullo scambio? Nel mondo delle relazioni, talvolta casuali, l’ingresso delle escort potrebbe essere dirompente.
Nessuno studio è ancora entrato nel dettaglio di questo fenomeno, anche perché non è esplicito: le prostitute non possono creare propri banner pubblicitari (è vietato dalle leggi americane), quindi è ancora tutto da valutare il percorso che può avvicinare domanda e offerta.
Una cosa è certa: in entrambi i casi questi utenti devono essere necessariamente molto bravi nel setting della loro privacy.