Potrebbe accadere che un giorno vi svegliate e collegandovi al vostro sito preferito non riuscite più a fare le operazioni che di solito fate: penso all’utilizzo dei mashup ma anche a servizi come Teqlo per i più smanettoni.
Se le società – non le startup del 2.0 – iniziassero a pensare di offrire i propri dati in cambio di una prestazione economica e di un costo preciso? Calma e sangue freddo: abbiamo dei diritti digitali o almeno un’alternativa?
Yahoo per esempio si è dimostrata molto aperta alla creazione di un web veramente partecipativo; basti pensare al progetto Yahoo Pipes.
La questione comunque rimane delicata e si sposta oltre il semplice aspetto tecnico: Carlo Beccaria si pone diversi dubbi riguardanti le API, lo strumento magico che ci consente di utilizzare le mappe geografiche, sfogliare gli album su Flickr a nostro piacimento o giocare con i video magari caricati su YouTube.
C’è poi un altro problema relativo ai dati: e se il servizio “Pinco Pallino” chiudesse, i nostri dati che fine farebbero? Rubrica, foto, password, dati sensibili in mano ai gestori del server.
Tempo fa questa stessa domanda se la sono posta in tanti nella blogosfera ma nessuno ha invocato la possibilità di richiedere finalmente una “carta dei diritti digitali” che vada oltre i contratti che ogni giorno accettiamo dai servizi web.
Bisogna sperare che non se ne parli soltanto nei convegni ma che in ognuno di noi nasca anche una coscienza digitale: che non deve uscire fuori solo nei casi di video-bullismo.