Sul sito sventola bandiera bianca: con questa immagine sancivamo nelle news la fine dell’esperimento antispam di Lycos Europe, quello che, a sua volta, tante critiche aveva attirato per il fatto di combattere l’invasione di posta spazzatura con armi non proprio convenzionali come gli attacchi DDos.
E sembra che la bandiera bianca, purtroppo, l’abbiano issata definitivamente anche i milioni di utenti che ogni mattina faticano a tenere fronte alla quotidiana invasione a base di superfarmaci, programmi per PC a prezzi stracciati o di orologi extralusso. La cancellazione compulsiva sembra essere diventato l’unico strumento di tardiva difesa. I dati del resto sono molto chiari, periodicamente c’è un ente o una società che diffonde cifre, percentuali, numeri. Nonostante leggi più o meno efficaci, nuovi sistemi o programmi di prevenzione, la tendenza non muta. L’ultima rilevazione interessante [PDF, 526kb] è quella di una società americana, Zero Spam Net, che ha anche creato un nuovo metodo di valutazione della quantità di spam, ritenendo obsoleto e inefficace quello più tradizionale, basato sul calcolo della percentuale di messaggi indesiderati sul totale del traffico
di e-mail. Posto come valore di riferimento 100 (numero di e-mail legittime), lo ZSN Spam Index calcola il numero di messaggi di spam rispetto a quel dato.
Se nel novembre del 2002 il rapporto era di 66,7/100, oggi l’indice segna 782,12:
quasi 800 e-mail di spam ogni 100 valide, dunque.
In uno scenario che viene spesso descritto con scontate metafore di origine
‘bellica’, il paradosso è sempre dietro l’angolo. Circa un mese fa, per
dirne una, la Electronic Frontier Foundation (EFF) ha lanciato l’allarme antispam.
Non c’è nessun errore: l’organizzazione americana ha infatti rilasciato
un corposo rapporto sugli effetti collaterali causati dai nuovi sistemi di lotta
allo spam. Quello più evidente è che molte organizzazioni politiche
o impegnate nel sociale, che fondano la loro attività proprio sulla circolazione
di posta elettronica, finiscono sempre più spesso imbrigliate nelle trappole
che ISP e altre società stanno piazzando sulla rete per tentare di arginare
il dilagare dello spam. In molti casi, si arriva all’impossibilità di raggiungere
i propri sostenitori. Un fatto giustamente ritenuto inaccettabile, e non sembra
davvero esagerato parlare di minaccia alla stessa libertà di espressione.
La denuncia della EFF è accompagnata da una serie di suggerimenti rivolti
agli ISP perché rendano il processo di blocco più trasparente per
l’utente finale, per esempio consentendo a quest’ultimo di impostare le preferenze
sui filtri invece che operare unicamente a monte, ovvero sui server che gestiscono
il traffico di posta. Non mancano i consigli per i gestori di mailing list non
commerciali su come evitare che i propri messaggi siano incorrettamente identificati
come spam.
Ma a prescindere dai dati e da questioni a metà strada tra il tecnologico
e il politico come quella sollevata dalla EFF, si dimentica spesso che dietro
allo spam ci sono persone in carne e ossa, che c’è, insomma, anche un aspetto
sociale e umano di cui tenere conto. Chi trova noiosi e tutto sommato inutili
rapporti statistici e tecnici, potrà farsi un’idea del fenomeno leggendo
un libro da poco uscito per O’Reilly (ancora non disponibile in italiano). Si
chiama Spam
Kings. Lo stile è un misto di puntuale e serrata rievocazione giornalistica
e quello di certi romanzi centrati sulla ‘guerriglia’ tecnologica tra buoni e
cattivi. Ma non è fiction. È la storia di personaggi come Davis
Hawke, neo-nazista, fondatore di partiti di matrice razzista, che viste fallire
le sue deliranti aspirazioni politiche, diventa spammer di professione. È
la storia di tanti sconfitti dallo sboom della new economy che si riciclano mettendo
a frutto le conoscenze tecniche acquisite. Ma è anche quella di Susan
Gunn, aka Shiksaa, la tranquilla casalinga che da un giorno all’altro scopre
che la sua missione è quella di diventare cyberpoliziotta antispam. Sul
sito di O’Reilly è disponibile un’anteprima in PDF del primo capitolo.