Cosa potrebbe succedere se, in una fredda mattina d’inverno, Mark Zuckerberg decidesse di dire addio al suo social network? È un’interessante domanda sollevata da Marketing Arena, che ben sottolinea come Facebook e soci siamo ormai radicati nella vita degli utenti. Ma i risultati di un così scioccante evento potrebbero essere, incredibilmente, tutt’altro che funesti.
Crisi isteriche, minacce di suicidio, proteste virtuali e di piazza? Lo scenario, sulla carta apocalittico, sarebbe in realtà un piccolo fuocherello di paglia. Perché gli utenti si abituano a ogni cambiamento, mutano interessi e, con essi, le loro abitudini in Rete. Basti pensare alla storia di Myspace, social network gettonatissimo a metà degli anni 2000 ora prossimo alla desertificazione. Con l’apparizione di Facebook nel mondo social, i numerosi iscritti di Myspace non hanno troppo titubato ad abbandonare il vecchio per il nuovo. Nonostante i numeri di Facebook siano decisamente incomparabili a quelli più esigui di Myspace, un’eventuale morte del social in blu determinerebbe solamente il passaggio di massa ad altri servizi. E ad approfittarne potrebbero esserne Twitter e Google+, il social network di Big G che, a diversi mesi dal lancio, ancora stenta a decollare.
Più che all’utenza, per natura nomade e pronta a una rapida migrazione verso altri floridi lidi, la chiusura di Facebook potrebbe colpire soprattutto chi del social network di Mark Zuckerberg ne ha tratto una professione. Ma anche in questo caso, come ben sottolinea Marketing Arena, si tratterebbe solo di un fugace disorientamento presagio di una placida normalità.
I numerosi “Social Media Specialist“, dicitura ormai abusata per indicare un oceano di figure professionali, dal ricercatore sociologo al semplice addetto ai “like” di una rivista, potrebbero facilmente riciclarsi altrove. Oppure, ipotesi questo di certo motivante, potrebbero essere costretti a specializzare i loro skill, abbandonando definitivamente degli impieghi professionali che spesso appaiono più aleatori che fattuali.
Le aziende in Rete, invece, sarebbero costrette a rivedere alcuni piani di marketing. Oggi la gran parte delle società dispone di una pagina Facebook, una vetrina per coccolare i clienti, proporre prodotti e approfittare di nuove forme di pubblicità – spesso gratuite – che fanno leva sul passaparola o sull’abusato mito del viral. Ma se Facebook non esistesse, le aziende non venderebbero? Niente di tutto ciò: continuerebbero a perdurare i classici canali di advertising e ne nascerebbero di nuovi, adattati agli altri social network sopravvissuti a un’Apocalisse del Web.
L’unico fronte che potrebbe davvero risentire della chiusura di Facebook, sarebbe quello delle amicizie. E non è detto che si tratti di un cambiamento in negativo. Con tutta probabilità, scomparirebbero i numerosi contatti aggiunti solo per motivazioni secondarie (quanti hanno una fitta lista di sconosciuti in friendlist, utili solo per guadagnare più monete virtuali in giochi come FarmVille o The Sims Social?) e crescerebbero le amicizie di comunanza d’interessi, un po’ come avviene in Twitter con il following solo di utenti che si ritengono meritevoli delle proprie attenzioni. E chissà che, con la diminuzione degli user indesiderati, non calino anche tutte quelle attività borderline con lo spam. Inutile nascondersi dietro un dito, o in questo caso la tastiera: nessuno ama essere invitato a eventi a 6000 km di distanza, il tagging compulsivo sulle fotografie di un’estrazione del dente del giudizio, essere costretto alla lettura di note dalla validità letteraria di una lista della spesa. La domanda, perciò, è fin troppo scontata: si vivrebbe meglio con la chiusura di Facebook?