Quando si acquista un oggetto su eBay si dovrebbe godere del diritto di poterlo rivendere. Da questo principio nasce la petizione che la società di Pierre Omidyar ha lanciato in rete per difendere un proprio utente, il cui caso sarà all’attenzione della Corte Suprema negli Stati Uniti: Supap Kirtsaeng, uno studente universitario che per pagarsi gli studi aveva rivenduto dei libri e che ora dovrebbe pagare 600 mila dollari di danni agli editori, 15 volte più di quanto aveva guadagnato con la sua rivendita.
Il caso è particolarmente interessante, perché mette in relazione l’acquisto con l’applicazione estrema del concetto di copyright, un po’ come la questione sollevata in Italia della differenza tra licenza e possesso nel caso di Apple.
Secondo eBay, quando si acquista sulla piattaforma si dovrebbe essere in grado di rivendere, regalare o utilizzare come meglio si crede. Quindi allo stesso modo, all’atto della vendita, la proprietà del bene dovrebbe trasferirsi al compratore come già accaduto nel primo passaggio.
L’alternativa, messa in essere dalle prime sentenze subite da questo studente (colpevole di aver irritato la John Wiley & Sons, editore dei libri di testo rivenduti sul suolo americano, svelando che rispetto al loro costo in altri paesi erano gonfiati) sarebbe clamorosa: consentire ai costruttori e ai detentori di costringere rivenditori e consumatori a chiedere il permesso prima di rivendere o donare beni prodotti all’estero (i libri non erano prodotti sul suolo americano). Così commenta la società sulla pagina di eBay Main Street, nella quale chiama a raccolta i suoi utenti:
Questa regola potrebbe influenzare la maggior parte dei prodotti che usiamo ogni giorno, dai libri ai telefoni cellulari, coi produttori che mantengono la proprietà di un oggetto, non importa quante volte cambia proprietario.
Da qui la decisione di sostenere una battaglia tramite la Citizens for Ownership Rights, un gruppo di associazioni in difesa dei consumatori che sta raccogliendo firme per una petizione da spedire alla Casa Bianca e al Procuratore Generale, affinché riflettano sulla dottrina della vendita online e il dovere di rispettare il principio (decisamente sacro nella terra delle libertà individuali) di vendere ciò che si possiede, definito first sale doctrine.
In ballo c’è un settore, soprattutto quello tecnologico, o della conoscenza, del mercato parallelo. Fino ad oggi tollerato, ma che prevede le importazioni di oggetti acquistati all’estero. Operazioni oggi semplici, domani forse molto meno. Il clima della campagna elettorale però non aiuterà a risolvere la questione: difficile che in tempi di crisi ci si possa esporre alla critica di non sostenere esclusivamente il mercato interno americano. La sentenza arriverà in ogni caso tra qualche mese.