Funziona così: un intellettuale in età avanzata e con prestigioso pedigree dice qualcosa in merito a Internet e i social network durante una sonnecchiosa conferenza. La dichiarazione è all’incirca una variante del “che tempi signora mia” e se non si trattasse dell’intellettuale in questione nessuno la riterrebbe degna di nota. Però la frase, forte della sua fonte, ha un potenziale (comunque meglio dell’argomento della conferenza) così le agenzie lanciano, i giornali riprendono e i social commentano a più non posso. E per un intero giorno o quasi non si parla d’altro, cioè di come l’intellettuale si sbaglia gravemente a considerare il Web un luogo infestato di cretineria. Come dimostrazione, però, lascia un po’ a desiderare.
A questo punto della giornata tutti conoscono l’ottuagenario protagonista – un grande semiologo, saggista e romanziere italiano di fama internazionale – e le sue parole sui social network:
Il fenomeno dei social network da un lato è positivo, perché permette alle persone di rimanere in contatto tra loro, ma dall’altro canto dà diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel.
Questo concetto è talmente disastroso in tutti i suoi aspetti che non vale la pena discuterlo. Il diritto di parola è stabilito ben prima del Web, al limite la rete e i social in particolare hanno un ruolo nell’estensione e amplificazione delle parole di tutti, delle espressioni di tutti. E sia benedetto Internet per questo.
L’amplificazione cambia il fenomeno?
Il famoso scrittore e saggista dunque sembra non apprezzare che la Rete amplifichi una condizione preesistente. Tutto sta nel considerare il feedback, cioè la possibilità per il fenomeno stesso di diventare qualcosa di diverso per il semplice fatto constatabile che ha più spazio vitale di prima. Dal bar al mondo e ritorno. Riflessione sempre attuale e anche difficilmente misurabile nel presente. Ci vuole la prospettiva della sociologia e della storiografia.
Opporre a questo ovvio argomento l’ovvietà che i cretini ci sono sempre stati è, appunto, troppo ovvio. Molta dell’incomprensione verso la Rete di questi intellettuali è di natura anagrafica più che intellettuale (ma convivono) e va perdonata. Un semiologo malsopporta a tal punto il “rumore” che arriva anche a questi scivoloni e il Web, si sa, è terribilmente rumoroso. Soprattutto quando viene stuzzicato.
Tanti cretini e tanti intelligenti
Questo genere di pensiero ha una debolezza: chi si preoccupa dello spazio dato alla cretineria umana dovrebbe essere altrettanto consapevole del corrispettivo speculare concesso all’intelligenza. È come se intimamente il semiologo in questione considerasse l’intelligenza un bene scarso e la stupidità infinitamente sgorgante. Eppure un’osservazione oggettiva della rete e dei suoi contenuti, del modo in cui si producono e propagano non dimostra questo. Gli scam funzionano su millesimi di stupidi rispetto al totale; quasi tutti i lati oscuri o poco edificanti della rete possono contare su numeri proporzionati e relativi, mai così preponderanti. Ed ancor più in generale viene ignorata l’intelligenza collettiva, che funziona in astrazione come un fattore moltiplicante e di certo non trova nutrimento da eserciti di stupidi, che tendono ad essere molto meno collaborativi e creativi.
Qualcuno crede alla buona fede?
Per dirla tutta, è improbabile che l’intellettuale abbia detto quella frase senza immaginare l’eco che avrebbe avuto. Anzi, è piuttosto ingenuo crederlo. Così si fa spazio un’autocritica degli intellettuali che gli si sono opposti: non avranno semplicemente fatto il suo gioco? E i giornalisti che in conferenza stampa hanno imboccato, di continuo, il noto intellettuale su questo argomento utilizzando una montagna di luoghi comuni, ripresi poi dallo stesso scrittore?
Sui social, in tanti, troppi, hanno reagito come dei relè, tutti influenzati dalla piccola variazione elettrica imposta da una persona più furba delle sue dichiarazioni, capace di azionare per magnetismo tutto il commentarium social pacchetto base. Tanta bella pubblicità gratuita.
Perciò, ecco come evitare di cascarci la prossima volta:
- Fare domande più intelligenti. Se si mette su un piatto una concetto precotto, ne esce una risposta precotta.
- Attendersi risposte adeguate e in caso contrario insistere. Una conferenza non è un quiz, la prima risposta a volte non conta se non è sufficiente.
- Se il noto intellettuale risponde con un cliché su Internet, prendersi la gioia infinita di ignorarlo. Replicando così all’accusa con una immediata operazione di pulizia.
NOTA BENE:
In nessuna parte di questo articolo è stato citato per intero il nome dell’intellettuale. L’indicizzazione è tutto, oggigiorno: la si deve guadagnare con qualcosa di più di frasi da bar. Oppure no?