Aprendo il suo intervento al Sustainability Summit di Londra, Joe Iles della Ellen MacArthur Foundation ha sottolineato come per capire i principi dell’economia circolare non sia necessario essere economisti né esperti del settore. E questo è senza alcun dubbio un bene, perché solo attraverso un coinvolgimento attivo da parte di tutte le parti in gioco, consumatori compresi, è possibile arrivare a far esprimere appieno le potenzialità connesse a questo modello di business.
Economia circolare
Non è propriamente un concetto nuovo (in qualche modo, riuso e riciclo poggiano sulle stesse basi), ma di certo innovativo. Ciò che differenzia l’economia circolare dalla più tradizionale economia lineare è insito nel nome stesso impiegato per definirla: il ciclo di vita che interessa un prodotto non è più destinato a concludersi dopo la fase di utilizzo, con lo smaltimento, ma torna idealmente al punto di partenza chiudendo il cerchio, attraverso il recupero dell’intero dispositivo (quando possibile) o di una parte di esso. Una dinamica che sottintende dunque un approccio diverso fin dalla fase di progettazione e design, potenzialmente applicabile a qualsiasi bene o servizio immesso sul mercato.
Perché sposare una strategia di questo tipo, se richiede di destrutturare e modificare un processo di produzione che fino ad oggi si è dimostrato in grado di garantire un ritorno economico soddisfacente? Anzitutto, perché le risorse presenti in natura non sono infinite. Recuperare i materiali diviene dunque un’esigenza concreta ancor prima che un’iniziativa mossa da uno spirito ambientalista. Inoltre, è una spinta che parte dal basso, dai fruitori stessi dei prodotti e dei servizi, sempre più sensibili al tema della sostenibilità. Si pensi a quanto sta accadendo nei territori della mobilità e dell’energia per rendersene conto.
HP Sustainability Summit
Abbiamo avuto modo di affrontare il tema, in modo approfondito, nella City di Londra, presso il quartier generale HP, dove l’azienda ha organizzato il Sustainability Summit che ha visto la partecipazione di numerosi addetti del settore e di alcuni esponenti della stampa. Ne è emerso che l’economia circolare, più che una strategia o un modello di business ben definito, è una visione. Una strada da percorrere, insieme, non priva di ostacoli né di incognite, ma dalle enormi potenzialità. È al tempo stesso qualcosa di estremamente semplice da sintetizzare, come detto in apertura, e incredibilmente complesso da descrivere nella sua totalità.
L’economia circolare non è un vezzo ecologista, né un trend passeggero, ma al tempo stesso risulta difficile prevedere in quale modo evolverà. L’unica cosa certa è che richiede come primo elemento, ancor prima che investimenti, un cambiamento culturale, come ci ha confermato anche Kirstie McIntyre (HP Director, Environmental Responsibility EMEA) in una chiacchierata post evento.
L’adozione di un modello di business legato all’economia circolare richiede una sorta di cambiamento culturale? Se sì, nel vostro caso, da parte dei clienti, dei partner, dei collaboratori o di tutti questi protagonisti?
Sì. Per quanto riguarda i clienti, bisogna capire se sono disposti ad acquistare un prodotto sotto forma di servizio: non pagare la cifra intera per la proprietà di un bene, ma una somma diluita nel tempo per l’accesso al suo utilizzo. È questo ciò che costituisce il vero cambiamento culturale. Un processo non privo di difficoltà: ad esempio nel settore pubblico, che in tutta Europa segue dinamiche rigide, molto difficili da cambiare. Anche in questo senso c’è bisogno di un cambiamento culturale. Alcuni paesi sembrano più disposti ad attuarlo, altri meno.
Nel corso della chiacchierata abbiamo chiesto a Kirstie dove affonda le radici questo business model e in quale direzione punta.
Quella legata all’economia circolare è una visione a breve termine o a lungo termine?
Una visione a breve termine, per noi, è di circa un anno. Nel nostro caso, guardare all’economia circolare è un’evoluzione naturale: già vent’anni fa abbiamo iniziato a cercare modi per “fare di più, con meno”. Un approccio che abbiamo applicato all’utilizzo delle risorse, alla gestione dei rifiuti e all’efficienza energetica. Con il tempo abbiamo però visto che i suoi effetti su un modello di economia lineare erano limitati, allora si è iniziato a sperimentare soluzioni riconducibili all’economia circolare. Tre anni fa abbiamo iniziato a elaborare un concept in grado di connettere il nostro business all’esigenza di consumare meno materiali. Lo abbiamo fatto in tre step: core, growth, future. Mantenere e innalzare il livello di riciclo, sviluppare nuove modalità per offrire servizi ai nostri clienti e infine innovare il mondo che ci circonda attraverso tecnologie come la stampa 3D e la digitalizzazione di quella tradizionale. Per tornare alla tua domanda: core è ciò che stiamo facendo ora, growth è la prospettiva per i prossimi tre anni circa e future riguarda tutto ciò che verrà dopo.
Tornano dunque temi come quello legato alle stampanti 3D, al design e più in generale all’innovazione, già toccati di recente in occasione della nostra intervista a Tino Canegrati, VP & Managing Director di HP Italy.
2016 Sustainability Report
Durante l’incontro londinese il gruppo ha presentato anche il 2016 Sustainability Report, in cui si pone l’accento sulle attività, sulle iniziative e sui risultati in tema di sostenibilità relativi allo scorso anno. Un documento approfondito (consultabile per intero sul sito ufficiale), che passa in rassegna diverse aree di business e analizza la questione da più punti di vista, fotografando i progressi finora ottenuti senza nascondere gli aspetti sui quali è ancora necessario lavorare.
Guardando avanti, HP ha stabilito degli obiettivi da raggiungere entro il 2025, che andranno a impattare anche a livello sociale: migliorare le condizioni di lavoro di circa 500.000 persone in tutto il mondo, raddoppiare la presenza di programmi legati alla sostenibilità nella catena di fornitori e favorire la formazione di 100 milioni di persone. In cantiere anche la messa in campo di progetti finalizzati a ridurre il quantitativo di emissioni e il volume di acqua consumata durante l’attività produttiva. A livello di materie prime, nel 2016 il gruppo ha riparato 5,05 milioni di hardware (nella categoria rientrano i dispositivi più disparati, dai laptop alle stampanti), ne ha reimmessi in commercio 1,25 milioni e ha recuperato 119.900 tonnellate di componenti da destinare al riciclo.
Stampanti, cartucce e sostenibilità
Anche quello legato alle stampanti, da sempre core business per HP, è un ambito che si presta ad accogliere innovazioni nel nome della sostenibilità e della circular economy. Ne sono la dimostrazione due iniziative in particolare. La prima nasce dalla partnership con Thread International e First Mile Coalition, interessando il territorio di Haiti: un programma di recupero delle bottiglie di plastica (unica fonte di acqua potabile nel paese) per impiegarne il materiale nella produzione delle cartucce.
Haiti, il paese più povero del continente americano, può beneficiare di un simile progetto: non solo va a ripulire il territorio da un elemento inquinante, ma contribuisce a sostenere l’economia locale. HP, dalla sua, può contare sulla disponibilità in grande volume della materia prima da immettere nel ciclo produttivo. Una volta esauste, le stesse cartucce potranno essere recuperate e destinate a un nuovo ciclo.
Altro progetto degno di nota è quello che prende il nome di Instant Ink. Si tratta di una tecnologia basata su dinamiche tipiche della Internet of Things: la stampante stessa, che monitora costantemente il livello d’inchiostro, effettua l’ordine di nuove cartucce quando necessario, ancor prima che sia l’utente a doverlo fare. Il prodotto viene ricevuto a domicilio, a casa oppure in ufficio, con una confezione che include l’occorrente per inviare quelle esaurite al produttore, chiudendo così il cerchio, perfettamente in linea con i principi dell’economia circolare.