Quel tutore, nero coi lacci rossi, stava in mezzo ad altri oggetti creati con le stampanti 3D e portati al Salone Satellite da FabLab nella sua bottega digitale. Edges, però, non è passato certo inosservato: era diverso da qualunque altra cosa cosa vista nei paraggi. Quando poi lo si afferra e si scopre quanto è incredibilmente leggero si vuole saperne di più. La risposta sta in due nomi: Michela Cavalleri e Sarah Richiuso, studentesse al Politecnico di Milano.
Le ideatrici di questo sistema hanno pensato alla questione sanitaria integrandola con la vestibilità. Edges rappresenta una nuova generazione di tutori non estranei al corpo o all’abbigliamento di chi li indossa. Più integrati. La differenza con il progetto Cortex sta anche nei passaggi per arrivare al prodotto finito: bodyscan e una particolare forma di stampa 3D con la quale è possibile ottenere il proprio Edges personalizzato, disegnato dallo stesso utente (mediante un apposito configuratore) sulle linee del proprio corpo.
Il Salone del Mobile non ha ancora compiuto il cambio di passo tecnologico rispetto all’innovazione, fotografando – com’è nella sua natura – lo stato attuale e di medio corso del design mondiale, inevitabilmente a corto di investimenti a causa della crisi finanziaria che, passando dalla crisi dei mutui e provocando la crisi edilizia, ha messo in difficoltà il design di interni soprattutto sui mercati tradizionali (Russia e Cina sono un’altra cosa). Certamente però l’idea di queste due studentesse mostra ancora una volta la particolare creatività italiana. È Michela Cavalleri, 24 anni, a rispondere alle curiosità di Webnews.
La sensazione è che Edges non si sia fermato al prototipo: siete una startup?
No, per il momento il nostro tutore resta un progetto nato nel laboratorio del Politecnico, che ci ha sfidato sul concetto di autoproduzione. FabLab ci ha aiutate ad arrivare al prodotto finito incoraggiandoci a sperimentare questo tipo di stampa 3D. Andremo avanti con questo come con altri progetti. Certamente rispetto a Cortex il nostro non è un prototipo, ma è già pensato per essere prodotto.
Che tecnologie avete usato?
Un Kinect, un programma di elaborazione 3D e il metodo di stampa 3D di sinterizzazione, diverso dalla stampa additiva, più comune.
Questo significa che nel suo sviluppo forse bisogna lavorare a un software proprietario. Al momento avete utilizzato cose che già esistono modificandole per il vostro scopo…
Esatto, stiamo pensando a uno sviluppatore che ci affianchi e crei un programma parametrico specifico. Sul processo di stampa, ci siamo affidati a Shapeways, disponibile soltanto negli Usa e in Olanda. Il costo della stampa è ridotto, ma quello della macchina era fino a poco tempa fa proibitivo. Ora però è scaduto il brevetto e pare l’anno prossimo ci saranno già stampanti adatte a questi tutori – realizzati con polveri di nylon – del costo di cinquemila euro. Un fattore determinante.
Provando ad immaginare il futuro secondo Edges: una persona carica la scansione su un software, si stampa da solo il tutore, lo indossa. Non c’è il rischio di bypassare il parere medico?
I nostri primi due modelli, quello per il polso visto a Milano e un altro per il collo, sono stati realizzati con questi criteri. Abbiamo sentito esperti di traumatologia, di ingessature, prima di procedere. Inoltre, il vantaggio di questa tecnica è che il software consente di modificare la pressione a seconda del tipo di frattura o di trauma, insistendo meglio sulla parte da trattare e dando maggiore libertà alla persona.
Un altro elemento molto peculiare: perché avete pensato all’abbigliamento?
Perché vogliamo creare un’inedita relazione, fisica ed emotiva, tra oggetto e corpo. Dato che lo si stampa da sé configurandolo sulle linee del proprio corpo, c’è un’esperienza intima da valorizzare. Così è disponibile anche un’apposita linea di abiti, realizzati in armonia con Edges. L’obiettivo è creare una nuova relazione tra corpo, protesi e abbigliamento, in cui alle nuove prestazioni di un oggetto medicale siano connesse nuove estetiche, così da migliorare l’esperienza del trattamento, rendendo l’impiego di Edges addirittura possibile anche dopo il periodo di cura.
Decisamente una mentalità da startup. Avete già ricevuto interesse per la vostra idea? Pensate di brevettarla? Bisogna invertire la tendenza, in Italia si brevetta ancora troppo poco!
Sulla brevettazione non sono ancora in grado di rispondere, c’è molto lavoro da fare. Siamo state contattate da un’azienda di Reggio Emilia, produttrice di tutori sanitari, che si è detta molto interessata. L’abbinamento tutori-vestiti è piaciuta molto anche a Chiara Alessi, della nota azienda, anch’essa designer. Contiamo che Edges abbia un futuro.