Nei giorni in cui Webnews celebra l’innovazione attraverso il centenario della Teoria della Relatività Generale, occorre ricordare un altro momento fondamentale della vita di Einstein poiché influisce pesantemente sulle generazioni odierne. Albert Einstein, infatti, vinse il premio Nobel nel 1921 non tanto per la Teoria della Relatività Generale che lo ha reso celebre in tutto il mondo, quanto per la scoperta dell’effetto fotoelettrico alla base dei moderni impianti fotovoltaici. Due scoperte frutto di studi con una base comune, due teorie sviluppatesi in parallelo, due rivoluzioni basate entrambe su una nuova concezione della luce.
Il fotovoltaico non nasce con Einstein e già a fine 1800 i primi esperimenti ne ipotizzavano le potenzialità. Tuttavia è soltanto grazie ad Einstein che il fenomeno è stato spiegato e dimostrato, quindi metabolizzato dalla scienza ed evoluto in seguito fino ai giorni nostri. Oggi il fotovoltaico non è soltanto una soluzione “alternativa”, ma per molti versi si candida ad essere una vera e propria speranza nel momento in cui la sostenibilità della produzione energetica si impone come dogma per il nuovo millennio.
Questione di performance prima, di mercato oggi e di diffusione domani. Ora che gli studi sul fotovoltaico hanno portato a soluzioni di grande prestigio e buona economicità, il problema è moltiplicare la scala di diffusione della tecnologia e le possibilità di installazione sugli edifici. L’idea di reti diffuse e case autonome stuzzica chi sogna le smart city di domani, stimolando altresì gli investimenti di grandi aziende (quali l’italiana Eni) che, forti di decennale esperienza nel mondo dell’energia, fin da oggi tratteggiano quelle che potrebbero essere le soluzioni più pratiche e sostenibili in prospettiva futura.
L’effetto fotoelettrico
La scoperta delle dinamiche che stanno alla base del moderno fotovoltaico va accreditata ad una lunga serie di grandi scienziati che con le loro scoperte hanno poco per volta avvicinato la formulazione definitiva della verità. Da Becquerel ad Augusto Righi, passando per Pacinotti, Fritz, Hertz e Max Planck, fino ad arrivare infine ad Einstein ed alla sua formulazione definitiva che reinterpretava le teorie antecedenti (faticando non poco ad imporre la propria formulazione, dimostrata sperimentalmente soltanto molti anni più tardi da Arthur Holly Compton. Interessante è il fatto che il Nobel del 1921 fu attribuito ad Albert Einstein soltanto nel 1922, visto che l’anno precedente la fondazione Nobel si riservò di attendere in virtù dell’assenza di candidature realmente rispondenti ai criteri stabiliti da Alfred Nobel. Nel ’22 l’attribuzione fu poi ufficiale «per i suoi servizi alla Fisica Teorica ed in modo particolare per la formulazione della legge sull’effetto fotoelettrico». Anche la dimostrazione delle teorie di Einstein valsero un premio Nobel, attribuito a Compton nel 1927.
L’effetto fotoelettrico è quel fenomeno per il quale un foglio di metallo, se sufficientemente illuminato, è in grado di emettere elettroni. Quindi elettricità. La sua descrizione semplificata è sufficiente per legare il Nobel di Einstein al fotovoltaico odierno, tuttavia sono molti i passaggi intermedi che trasformano la teorizzazione dell’effetto (inizialmente molto complesso da riprodurre ed in ogni caso del tutto anti-economico) in realtà di mercato. Ma Einstein è esattamente l’anello che trasforma una selva di indizi in un percorso chiaro: lo scienziato, peraltro molti anni prima di quel 25 novembre 1915 nel quale presentò la Teoria della Relatività Generale, intuì la natura corpuscolare della luce. La teoria dei Quanti di Max Planck veniva in parte confermata e in parte sovvertita, arrivando alla formulazione del concetto di Fotone.
La chiave, oggi come allora, sta nello studio dei materiali utilizzati. Fin dal principio fu chiaro infatti come ogni metallo abbia una “resistenza” propria alla liberazione degli elettroni e che tale resistenza sia direttamente proporzionale alla quantità di energia necessaria per la produzione di elettricità. Quanto più puro è il metallo e quanto minore la sua resistenza, tanto migliore sarà l’efficienza ottenuta a parità di energia. Esiste pertanto una soglia minima entro la quale la produzione di elettroni non avviene: questa soglia è stata stabilita proprio dalla formulazione di Einstein ed è il punto esatto dal quale nasce l’idea di sfruttare una superficie esposta al sole per la produzione di elettricità.
Il fotovoltaico dagli anni ’60 ad oggi
Correva l’anno 1963 quando per la prima volta una azienda portava sul mercato moduli fotovoltaici commerciali: si trattava della giapponese Sharp, ancor oggi tra i nomi all’avanguardia nella produzione dei tipici moduli disponibili sui tetti delle abitazioni. La ricerca di materiali in grado di restituire una efficienza accettabile, e pertanto in grado di maturare un costo di produzione dell’energia minore rispetto a quello relativo ad altre forme produttive (quali i carburanti fossili), ha portato rapidamente sulla strada dei semiconduttori. Quindi al Silicio. Spiega l’enciclopedia Treccani a tal proposito:
In un semiconduttore quale il silicio, nello stato legato e allo zero assoluto, non vi sono elettroni disponibili per la conduzione elettrica e il solido si comporta come isolante. A temperature diverse dallo zero assoluto, invece, l’agitazione termica permette ad alcuni elettroni sufficientemente energetici di liberarsi, anche se il loro numero è molto piccolo. Tale numero può crescere notevolmente se il materiale viene illuminato con una radiazione luminosa sufficientemente energetica, come, per esempio, una parte di quella del Sole.
Il “drogaggio” del Silicio (ossia l’aggiunta di ulteriori materiali quali fosforo e boro, ha aumentato l’efficienza della materia prima aggiungendovi conduttività ed ulteriori innovazioni degli anni successivi hanno aumentato l’efficienza in diverse condizioni di illuminazione. Il risultato è la produzione attuale, ove il computo della sostenibilità inizia ad essere misurato tanto sull’energia prodotta quanto sulla tipologia di materiali utilizzata e il loro impatto sull’ambiente. Oggi il fotovoltaico è di fronte ad un nuovo limite: per diventare elemento di sistema deve saper moltiplicare la propria presenza attraverso una maggior adattabilità e grazie a performance ulteriormente migliorate.
Il fotovoltaico di domani secondo Eni
Nell’ambito delle diverse generazioni di tecnologie per la conversione dell’energia solare in elettricità, le celle solari organiche rientrano nella terza generazione dopo il fotovoltaico da silicio cristallino e quello a film sottile. Le prestazioni attuali sono inferiori a quelle delle celle di vecchia generazione in termini di efficienza e durata, tuttavia queste tecnologie hanno interessanti potenzialità poiché non fanno uso di elementi tossici o rari (come cadmio, indio, tellurio) e utilizzando materiali più economici. I dispositivi finali, inoltre, possono essere prodotti utilizzando tecniche di deposizione a basso costo, analoghe a quelle della stampa tradizionale, la stampa a getto d’inchiostro o a rotocalco.
La spiegazione è fornita da Eni, gruppo italiano per la produzione di energia che da tempo sta investendo nel settore per arrivare alla formulazione di una reale alternativa (oggi ancora non concreta) ai carburanti fossili. Il principale problema del fotovoltaico è infatti la sua intermittenza: il semplice intercalare del giorno e della notte, oltre alla minaccia imprevedibile del maltempo, rendono oggi il fotovoltaico una risorsa complementare, ma non esaustiva, per l’alimentazione di case e impianti industriali. Per dare completezza al fotovoltaico sono destinate ad emergere innovative soluzioni di storage, ossia meccanismi di conservazione efficiente dell’energia che consenta di immagazzinare risorse durante il giorno per liberarle durante la notte o durante momenti di assenza delle radiazioni solari (maltempo, pulviscolo atmosferico o altre cause).
Secondo i ricercatori Eni, la nuova frontiera dello sviluppo iniziato con la scoperta dell’effetto fotoelettrico da parte di Albert Einstein è delineata dal fotovoltaico organico (OPV) e dalle celle solari sensibilizzate con colorante (DSSC):
Le celle OPV (Organic PhotoVoltaic) sono dispositivi il cui elemento attivo è costituito da una miscela di polimeri e altri composti organici. Peculiarità della tecnologia sono la possibilità di realizzare dispositivi flessibili mediante tecniche di stampa, il design, la leggerezza. Le celle DSSC (Dye Sensitized Solar Cell) utilizzano coloranti organici dispersi in matrici inorganiche nanostrutturate per la conversione della luce in elettricità. Sono dispositivi colorati e semitrasparenti che presentano buone prestazioni in condizioni di luce diffusa e si prestano pertanto alla building integration.
Ecco la nuova frontiera del fotovoltaico, quindi: moduli fotovoltaici in grado di adattarsi a varie forme e condizioni d’uso, così da poter integrare il fotovoltaico direttamente su case, porte, finestre ed ogni altro elemento utile. Il destino del fotovoltaico è quello di una completa integrazione, insomma: un lavoro di mera superficie, in modo quanto più esteso e discreto possibile, diventando parte integrante delle abitazioni invece che aggiunta dedicata. Il tutto, secondo quanto previsto dai progetti R&D dell’area Renewable Energy and Environment di Eni, con un orizzonte temporale di sviluppo relativamente breve:
Per la linea solare organico si prevede di incrementare l’efficienza di conversione della luce dal 3% (entro il 2015) al 5% (entro il 2017), la realizzazione di moduli stampati su supporto flessibile (30×40 cm2) e tempo di vita 5 anni. Per la linea celle DSSC si prevede entro il 2015 di effettuare prove su cella completa (non più limitate al solo colorante) e entro il 2016 di disporre di celle per prove in condizioni reali.
In assenza delle intuizioni di Einstein il fotovoltaico sarebbe oggi probabilmente in una fase molto più embrionale, poiché soltanto con lo studio sull’effetto fotoelettrico si è giunti ad una definizione precisa dei fotoni e dei loro effetti. La percezione della luce è cambiata con Einstein ed improvvisamente è divenuta una potenziale fonte di energia controllabile, al di là di quanto l’esperienza non suggeriva di fare per riscaldare le abitazioni e le prime serre sotto vetro. L’accelerazione impressa è stata fondamentale e il concetto di luce è stato centrale in tutti gli studi successivi dello scienziato tedesco. Fino alla Teoria della Relatività Generale, per cui la luce è deviata da una massa ed in virtù di questo reticolo spazio temporale ogni idea precedente sull’universo andava rivista e ricalcolata.