Tra pochi giorni si voterà per le elezioni europee. Una occasione democratica dove si incrociano temi sovrazionali e candidature amministrative, e forzature tipiche della campagna elettorale che trasformano ogni occasione in una specie di referendum su poteri interni. Così i temi più squisitamente innovativi rischiano di restare sullo sfondo, tra battute, hashtag, immarcescibili promesse sulle tasse e proteste sull’euro e le banche: cosa resta dell’Agenda Digitale?
Mentre si avvicina la giornata del 25 maggio, election day, è bene riassumere i punti principali dei partiti che toccano i temi più innovativi, cioè l’agenda digitale europea e la sua volontà di imprimere una programmazione allo sviluppo delle reti, del lavoro per i giovani e dell’innovazione tecnologica considerando anche le implicazioni nella vita quotidiana e nei diritti fondamentali (come la privacy) dei 500 milioni di cittadini europei. Le elezioni 2014 sono alle porte e l’importanza di un voto consapevole e informato è al centro di qualsiasi dinamica elettorale: la cartina di tornasole dell’Agenda Digitale può essere uno degli elementi di valutazione più utili per capire nel merito i programmi dei singoli simboli che si potranno scegliere tra pochi giorni.
Il Partito Democratico
Il PD ha un programma comune facilmente trovabile tramite anche il motore di ricerca. Nel sito del partito si trovano anche materiali di diverso genere e approfondimenti sui capilista nelle cinque circoscrizioni e tutti i candidati delle liste a queste europee.
Il programma, di 11 pagine (accompagnato anche da quello del PSE, gruppo a Strasburgo nel quale il PD di Renzi è entrato lo scorso 27 febbraio), ha alcuni richiami più o meno espliciti ai temi dell’agenda 2020, ma spesso non precisamente sull’innovazione digitale. Si fa riferimento Project Bond per finanziare progetti su larga scala nel campo dell’innovazione, delle infrastrutture e della re-industrializzazione, all’innalzamento di un punto percentuale del PIL speso in ricerca e alle politiche di formazione per le competenze informatiche.
Il punto 8 del programma è dedicato all’Agenda Digitale, dove si scopre che la creazione di un mercato unico digitale potrebbe generare 260 miliardi di euro supplementari, ovvero più del PIL della Danimarca stimato nel 2014 e che anche per questo la rete deve continuare ad essere uno spazio di libertà e creatività, pur non dimenticando che c’è bisogno anche di una normativa comunitaria efficace in materia di protezione dei dati personali dei cittadini e di accesso all’informazione. Queste infine le proposte:
- Completamento del Mercato unico digitale con misure urgenti e concrete entro i primi 100 giorni di legislatura.
- Un’indicazione chiara anche per l’Italia ad accelerare senza scuse sulla banda larga.
- Revisione e modernizzazione del copyright in Europa: l’illegalità si colpisce facilitando e ampliando le opportunità di scambio legale e i servizi connessi, non penalizzando i singoli utenti con modalità arbitrarie.
- Tutela del principio della neutralità della rete e della libera circolazione di informazioni e contenuti su Internet.
- Introduzione di misure a favore di startup e micro-imprese nel settore della ICT.
- Promozione di strumenti europei che favoriscano lo sviluppo del commercio online e di una forte tutela dei consumatori grazie a informazioni più facilmente comparabili e maggiori diritti al momento di cambiare fornitore o contratto.
Movimento Cinque Stelle
Completamente diverso lo stile del M5S, che ha stilato un programma sintetico di sette punti che in altri tempi si sarebbe definito scarno. Ma nel movimento “iperdemocratico” le questioni contenutistiche sono spesso demandate al dibattito delegato-delegante tramite il blog di Beppe Grillo (con peso specifico elevatissimo per quella che è definita come la democrazia della Rete), che per queste elezioni ha scritto un codice di comportamento particolarmente restrittivo che, in sostanza, indica nei sette punti e nei successivi approfondimenti, tramite la piattaforma, il percorso obbligato dell’eurodeputato «che nella presentazione delle proposte di atti legislativi dovrà essere data preferenza a quelle dirette al conseguimento degli obbiettivi indicati». E quali sono?
Tra i sette punti non si fa cenno alcuno a temi sull’innovazione e il digitale: i punti forti, com’è noto, sono il referendum per la permanenza nella moneta unica (anche se alcuni ritengono sia contro la Costituzione italiana) e l’abolizione del fiscal compact (anche in questo caso proposta molto discussa perché in realtà è un accordo legato a sua volta a Maastricht, quindi non cambierebbe granché). Sugli sgravi fiscali e gli investimenti oltre il 3% del rapporto debito-PIL le proposte sono identiche a quelle del PSE. L’Agenda Digitale è dunque più che altro tra le righe dei principi da sempre espressi dal Movimento: la scelta dell’innovazione invece dello scambio merci su strada, la circolazione delle informazioni invece che dei prodotti, l’investimento su nuove risorse rinnovabili invece che su carburanti fossili e produzioni di vecchio stampo.
L’Agenda Digitale del M5S non traspare dunque direttamente nel programma per le elezioni 2014, ove si è preferito puntare più direttamente su altre tematiche, ma è parte integrante del manifesto del Movimento e l’impegno è deducibile dalle parole della piazza e dei precedenti impegni portati avanti in passato.
Forza Italia
Al centro del programma di Forza Italia per queste europee c’è, com’è nello stile un po’ anomalo del centrodestra italiano, il welfare, soprattutto per le classi deboli, e una posizione critica e in sottile equilibrio tra il PPE e i movimenti anti-euro. Su moneta unica e BCE Forza Italia insegue il M5S, mentre su immigrazione e sicurezza riprende un tono più tradizionalmente conservatore. Anche in questo caso, però, praticamente assente l’Agenda Digitale, sulla quale il partito di Silvio Berlusconi non sembra voler far leva specifica in questi ultimi giorni di campagna elettorale.
Gli altri partiti
Uno degli aspetti più singolari della discussione dell’agenda digitale in Italia è la forte trasversalità di competenze nei gruppi parlamentari, ma anche la loro rarità. Sono pochi, anche se davvero eccellenti, gli esperti di digitale impegnati in politica, in Italia, e si trovano in tutti i partiti. Nel PD c’è Paolo Coppola, in Scelta civica Stefano Quintarelli, in Forza Italia Antonio Palmieri, e poco altro.
Queste discontinuità si trovano anche nelle dimensioni dei programmi nelle liste più piccole, a sostegno di candidati presidenti alla Commissione Europea che non godono dei favori dei pronostici: si va dalle 35 pagine della lista Tzipras alle due pagine di Scelta civica.
La lista Tzipras, c’è da dire, ha forse l’unico capitolo serio dedicato ai diritti digitali. Tra le molte parole spese per l’analisi della crisi economica e le responsabilità delle istituzioni finanziarie e politiche globali, ci sono addirittura 11 punti specificamente dedicati ai temi dei diritti nell’epoca di Internet: dalla partecipazione alla trasparenza, per finire alla privacy, al diritto d’autore e anche al problema della sorveglianza di massa, sul quale la lista che appoggia il leader greco assume la posizione prevedibilmente più dura rifiutando l’accordo safe-harbour con gli Stati Uniti. Sulla violazione del copyright la posizione aderisce al pensiero di chi critica il regolamento Agcom: nessuno deve anticipare la revisione giudiziaria su presunte violazioni in rete attraverso l’incoraggiamento, la coercizione o il consenso a fornitori di accesso internet o altre organizzazioni per punire presunte violazioni online.
Tanta tanta economia, anche spicciola
Nei programmi dei principali partiti c’è poco spazio per l’agenda digitale, che pure sarà protagonista del prossimo Digital Venice in luglio (a proposito, cambio di programma: sarà di una giornata sola, l’8 luglio). Tanta economia, invece, e la preoccupazione di dare risposte e soprattutto spiegazioni ai problemi più urgenti della cittadinanza. Per il futuro, c’è tempo. Ma domenica si vota.