Se non puoi sconfiggerli, unisciti a loro. Se poi il vantaggio è reciproco, allora ne può uscire addirittura una vittoria vera e propria da entrambe le parti. È su queste note che ha preso corpo l’avvicinamento tra EMI e Project Playlist, il sito che più di ogni altro ha catalizzato le attenzioni dei legali delle etichette musicali. Il plotone solo un anno fa era corposo, in grado di annoverare ben 9 etichette: Warner Music Group, Elektra Entertainment Group, Capitol Records, Priority Records, Virgin, Warner Bros. Records, Interscope Records, Motown e UMG Recordings, una divisione di Vivendi Universal Music Group. A distanza di 11 mesi circa la EMI fa non uno, ma ben due passi in direzione opposta: non solo non si allinea alla denuncia contro Project Playlist, ma ne diventa addirittura partner. Lo scorso dicembre Sony aveva segnato per prima la strada, EMI ha seguito a ruota.
Quel che le etichette non potevano accettare da Project Playlist è nella sua capacità di mettere in contatto molta utenza con la scusa dello scambio delle reciproche playlist, permettendo inoltre loro di ascoltare i rispettivi brani grazie ad opinabili streaming basati su file residenti su server terzi. Così facendo prende infatti forma una vera e propria radio on-demand gratuita dalla quale le etichette non riescono a ricavare alcunché. L’intero business del sito, insomma, sarebbe basato sull’infrazione di copyright e di qui i motivi che hanno portato alla denuncia di massa. All’interno delle etichette, però, sembra essersi consumata una frattura: nove da una parte, due big dall’altra. La denuncia della RIAA da una parte, la collaborazione di EMI e Sony dall’altra.
Project Playlist oggi può vantare due interi cataloghi di grande prestigio: per le etichette trattasi di una grande possibilità di incontro con una community di ormai oltre 45 milioni di utenti; per gli utenti trattasi di uno strumento con cui accedere (ora legalmente) ad una vasta discografia. Il confine tra legalità e non legalità si consuma in questo paradosso, con un medesimo servizio avversato o appoggiato da una medesima parte del mercato: il paradosso non potrà però presumibilmente reggere nel tempo, dunque è ipotizzabile una soluzione di accordo anche per le restanti etichette ancora restìe ad offrire il proprio contributo al sito.
Agli esordi Project Playlist permetteva addirittura di condividere le proprie playlist tramite social network quali Facebook o MySpace. Ne scaturiva una dimensione ancor più importante, ove il valore sociale della condivisione raggiungeva picchi ancora superiori. La RIAA impose però il proprio diktat ai social network e l’applicazione sparì.