C’è un problema di fondo nell’uso delle emoticon: non v’è alcuna certezza che il ricevente veda esattamente lo stesso simbolo che si è inviato. Quella che dovrebbe essere una regola sacra delle comunicazioni scritte, insomma, decade: il messaggio ricevuto in molti casi non è esattamente uguale al messaggio inviato, creando così una zona limacciosa sulla quale il significato, le emozioni e i dettagli rischiano di scivolare, mutare, confondersi. Fino a perdersi.
Questo concetto è estremamente intuitivo: non essendoci un vero e proprio alfabeto di emoticon standardizzato, ogni utilizzo delle stesse rappresenta un rischio potenziale ed occorre averne consapevolezza. Le differenze possono essere minimali, ma miliardi di emoticon usate tutti i giorni creano una zona d’ombra nelle chat che non è possibile ignorare.
Non l’hanno ignorata infatti Hannah Miller, Jacob Thebault-Spieker, Shuo Chang, Isaac Johnson, Loren Terveen e Brent Hecht, ricercatori della University of Minnesota, i quali hanno sperimentalmente dimostrato (pdf) quanto già a livello intuitivo era possibile scorgere: l’emoticon non solo ha un significato vago di per sé in quanto elemento più afferente alla prossemia che non al linguaggio scritto (dunque più afferente alla sfera delle emozioni che non a quello della logica), ma i confini del tutto si fanno ancora più sfumati nel momento in cui il codice linguistico utilizzato non è standardizzato.
Per certi versi (similitudine non calzante, ma può contribuire alla comprensione del problema) sarebbe come se una certa lettera dell’alfabeto fosse tradotta in modi differenti da differenti device, così che il mittente non possa mai sapere a priori esattamente quale sarà la parola digitata: la parola ricevuta dipenderà infatti esclusivamente dal device in uso dal ricevente.
Quantificare l’errore
La ricerca è stata portata avanti richiedendo ai vari utenti interrogati (distribuiti tra le varie piattaforme) di dare una valutazione dell’emoticon ricevuta. Tale valutazione è stata quindi computata e raffrontata affinché divenisse evidente il gap potenziale nell’effetto ottenuto dalle singole emoji. Il risultato è in alcuni casi eclatante.
La tabella successiva spiega meglio di ogni parola l’evidenza della ricerca: se per alcune emoticon non v’è differenza alcuna nella percezione finale sulle varie piattaforme (ne sia un esempio l’emoji con le mani congiunte “1F64F”), in altri casi la percezione è estremamente differente e può portare pertanto a varie interpretazioni. Quindi a forti incomprensioni. Nella tabella il differenziale nella percezione è misurato dall’ampiezza dell’asticella grigia, mentre nella parte bassa è possibile confrontare le varie emoticon su piattaforme quali Apple, Google, Microsoft, Samsung ed LG (ognuna delle quali interpreta a modo proprio le emoji che fanno riferimento al medesimo sistema Unicode).
L’uso di certe emoticon, alcune delle quali utilizzate moltissimo, è dunque pratica impervia e spesso non se ne ha la minima consapevolezza. L’emoticon sorridente 1F601 ad esempio potrebbe essere interpretata in modi molto differenti, dunque il suo uso potrebbe potenzialmente ribaltare il significato di una frase agli occhi del destinatario rispetto alle intenzioni del mittente.
Il problema nasce dal fatto che le emoticon, segni grafici con una particolare natura, sono state assorbite dal mondo della scrittura mobile diventando segni estremamente comuni pur non avendo una codifica standardizzata. Piccole differenze nel tratto grafico possono pertanto creare enormi differenze di significato. Trattasi infatti di più “alfabeti” che fanno riferimento al medesimo sistema Unicode, mentre per una comunicazione più efficace ed affidabile servirebbe un alfabeto univoco.
Le conseguenze possono inoltre essere moltiplicate in modo esponenziale in alcuni casi, ove l’uso dell’emoticon è maggiormente abituale. Il caso di maggior impatto potrebbe dunque essere quello della “Face with Tears of Joy“: quella che il dizionario di Oxford ha identificato come la “parola dell’anno” per il 2015, infatti, risulta tra quelle mediamente più fallaci nelle valutazioni di conformità nella percezione degli utenti:
Quali conseguenze
I motivi che hanno portato alla moltiplicazione delle codifiche delle emoticon sono svariate, ma per molti versi sono più interessanti gli esiti. Ad esempio ne discende una conseguenza potenziale come la maggior fedeltà delle conversazioni tra utenti che utilizzano la medesima piattaforma, il che potrebbe favorire il linguaggio dei brand più diffusi. Non si tratta di una dinamica chiara agli utilizzatori, ma l’effetto viene a ricrearsi in modo automatico: sarà semplice notare come utenti iPhone possano usare facilmente un’emoticon che piange quando vogliono indicare una fortissima risata, mentre la stessa emoticon sarà probabilmente evitata da utenti Samsung per i quali il medesimo codice Unicode indica tratti somatici più vicini alla disperazione che all’allegria.
In linea teorica tale differenziale nella percezione delle emoticon potrebbe portare altresì ad una progressiva correzione, spuntando gli spigoli laddove ci si renda conto che la propria emoticon non è confacente alle aspettative di chi la utilizza. Trattasi di una dinamica, se verificata, lenta e progressiva: omologazione come frutto naturale dell’accostamento tra differenze, ossia pressoché la medesima dinamiche che ha portato alla formulazione del linguaggio naturale.
Il problema non sussisteva quando le emoticon erano il frutto di ricombinazioni di tratti di punteggiatura: “:)” significa il medesimo sorriso su qualsiasi piattaforma, infatti, mentre il passaggio alle immagini ha cambiato tale prerogativa. Le emoticon, che avrebbero dovuto rendere più fluide e intime le conversazioni, rischiano oggi di renderle anche meno limpide. La colpa non è delle emoticon stesse, quanto del modo in cui sono state implementate a bordo delle varie piattaforme mobile in uso. Averne piena coscienza può aiutare ad evitare problemi durante scambi testuali di particolare importanza, tanto sul lavoro come negli affetti: se la cosa era facilmente intuibile da qualsiasi ragazzino che domini le emoji su più piattaforme, ora il tutto è anche misurato e quantificabile. Dunque scientificamente vero.