Eni ha pubblicato in mattinata i risultati fiscali relativi al primo semestre dell’anno. Se ci si affida a titoli e analisi, però, appare difficile venirne a capo: chi focalizza l’attenzione sull’utile (-70%), infatti, non sembra fotografare la situazione nella sua complessità, mentre da più parti giungono in parallelo pareri favorevoli da analisti che hanno estrapolato dai numeri una certa mole di parametri che suggeriscono ottimismo. E il valore delle azioni torna infatti al rialzo, ripristinando il sentiment positivo che circonda il gruppo e identificando in Eni uno dei gruppi del comparto con le migliori prospettive.
Ma dietro i numeri c’è qualcosa di preciso, così come dietro ogni nuovo giacimento scoperto ci sono sforzi di alta ingegneria e di lungo periodo. E sono questi gli aspetti più importanti per capire quali siano le leve che il gruppo sta utilizzando per uscire a testa alta da una situazione contestuale di grande complessità. Leve che, lungi dall’essere strumenti estemporanei, si dimostrano sempre più radicati nei protocolli interni, nelle strategie e nei bilanci aziendali. Ed è facile intuire come in quest’ottica l’innovazione non sia più soltanto uno strumento, ma un fine ultimo. L’inizio e la fine, insomma: il fil rouge di un’intera impronta aziendale, come conseguenza di una maturata consapevolezza sui ritmi e l’accelerazione che il mercato richiede.
Oltre i numeri
Nei giorni in cui molte grandi aziende della Silicon Valley hanno segnato il passo nelle proprie comunicazioni trimestrali, è cosa utile andare oltre i numeri per capire quale sia il reale impatto della congiuntura economica che si sta attraversando a livello internazionale. E questo è vero soprattutto nel campo del petrolio, ove alla crisi generalizzata dei consumi (con forte accento in area europea) si somma ad una tensione attorno all’OPEC che ha portato il prezzo del greggio a valori estremamente bassi (al netto di una produzione a livelli costanti e di una domanda per lunghe fasi carente). La fibrillazione continua e le zone di guerra accese negli ultimi anni hanno ulteriormente complicato il quadro generale, portando anzitutto ad una difficile lettura di una situazione sempre più priva di punti di riferimento.
Tuttavia l’Amministratore Delegato Claudio Descalzi non esita a festeggiare i risultati conseguiti, per molti versi frutto della visione portata nel gruppo fin dai primi giorni dell’insediamento:
Nel primo semestre di quest’anno abbiamo conseguito ottimi risultati industriali in tutti i business che ci hanno consentito di rivedere al rialzo alcuni degli obiettivi del piano strategico presentato a marzo.
Goliat in Norvegia, Perla in Venezuela, tutti progetti in divenire che nell’immediato futuro contribuiranno alla crescita dell’azienda. Ma non si tratta di progetti improvvisati: i forti investimenti nella ricerca partoriscono risultati nel lungo periodo, consentendo nel breve di poter giovare della visione espressa in passato.
I business del mid- downstream hanno tutti ottenuto risultati positivi, grazie ai forti progressi nel riassetto dei nostri impianti di raffinazione e petrolchimici, al successo nelle rinegoziazioni dei contratti gas e agli ulteriori interventi sull’efficienza.
«Queste azioni hanno contribuito a limitare gli effetti della caduta dei prezzi degli idrocarburi, sia in termini economici, sia in termini di cassa»: la chiave è l’innovazione, poiché è grazie ad efficientamento e nuove scoperte che si è potuto limitare l’impatto del dimezzamento del prezzo del barile. Bernstein giudica “really impressive” i numeri pubblicati, Deutsche Bank li considera “solidi”, Barclays focalizza l’attenzione sulle proiezioni positive per il prossimo futuro. Ma ancora una volta gli innesti che aumentano il valore complessivo derivano da una matrice comune: ricerca e innovazione, anche in un comparto ormai secolarizzato e iperstrutturato come quello degli idrocarburi.
Eni: innovazione e ricerca
Eni ha focalizzato ormai da anni i propri investimenti sulla ricerca e sull’innovazione, identificate in tempi non sospetti come le chiavi di lettura che avrebbero potuto offrire al cane a sei zampe un grimaldello contro le fasi cicliche dell’economia (quella che in questo frangente viene definita comunemente come “la crisi”). Nel momento in cui l’economia ha iniziato ad avvitarsi su se stessa, fino a coinvolgere anche il grande mondo degli idrocarburi, Eni aveva già iniziato il proprio processo evolutivo che ora riflette i migliori appigli per i conti del gruppo. Il semestre termina così con un cash flow costante da 5,7 miliardi di dollari, tale da consentire un pieno autofinanziamento degli investimenti che chiude il cerchio attorno alla strategia sposata dal nuovo AD.
L’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono.
Enrico Mattei
Il Green Data Center è forse uno degli esempi più calzanti, emblema di quello sforzo di ricerca che il gruppo aspira a portare avanti: un centro di eccellenza, alta ingegneria e sostenibilità nel quale convergono i dati provenienti da tutto il mondo: ovunque il gruppo porti avanti ricerche sul territorio, la raccolta dati viene veicolata verso il centro italiano affinché si possano elaborare modelli in grado di portare con maggiori probabilità a risultati concreti in quanto ad estrazione, riduzione dei costi e massimizzazione dei ritorni dagli ingenti investimenti necessari. I risultati sono stati evidenti e conclamati: Eni ha oggi in mano nuove realtà da cui poter attingere per ottimizzare la propria produzione, carte indispensabili da giocare in un mercato sempre più complesso e concorrenziale.
I numeri in tal senso dicono più di ogni giudizio: nel primo semestre le esplorazioni hanno portato a un risultato pari a 300mmbbls sui 500mmbbls previsti in proiezione annua, il tutto con un costo di ricerca pari a 1,7 dollari al barile (contro i 2 previsti in fase preventiva). L’ampio margine conseguito è la misura della bontà dei processi ingegneristici messi in campo, ove la capacità di elaborazione dati diventa metro di efficacia e fonte di opportunità future. L’interesse per un progetto come Watson o gli esperimenti di realtà virtuale come Cave ne sono ulteriore conferma.
Le convergenze tra Big Data e Cognitive Computing possono davvero rappresentare le fondamenta per una radicale trasformazione del modo di funzionare e di erogare servizi IT in una grande azienda.
Gianluigi Castelli, Chief Information Officer Eni
Un esperimento come enjoy non può invece ancora risultare significativo in termini di bilancio ma, anestetizzato ogni possibile timore di un break even point troppo lontano nel tempo, trasfigura lo spirito dell’azienda nel modo più chiaro e manifesto possibile: la pulsione ad innovare ha trovato espressione nel mondo del car sharing, fino al primo esperimento mondiale di scooter sharing, mettendo così il marchio dell’azienda su centinaia di auto che oggi popolano le strade di quattro grandi città italiane (Milano, Roma, Firenze, Torino) a beneficio di risparmi personali, mobilità urbana e sostenibilità del modello. Enjoy è oggi uno dei marchi più conosciuti in Italia nel mondo della mobilità condivisa ed i risultati ottenuti in termini di noleggi configurano una attività di grande successo, di forte integrazione con le realtà in partnership e incipit ad un modello di mobilità che nel tempo potrà cambiare radicalmente il modo di pensare gli spostamenti.
Differenziazione, scommessa sulla sostenibilità e costruzione di un modello che poco alla volta inizia a penetrare capillarmente tra l’utenza delle reti urbane: per sfuggire agli umori dell’economia internazionale, ancora una volta ricerca e innovazione si dimostrano alleati solidi. Eni ne ha portata chiara dimostrazione nei propri dati semestrali, costruiti in un contesto di totale instabilità generale nel quale la concorrenzialità e il valore vanno costruiti su visione, intraprendenza e coraggio di investire. Ecco perché l’innovazione è un asset: lo è nel momento in cui da risorsa diventa modus operandi. E da possibilità diventa metodo.