L’aumento dell’equo compenso non ricadrà sugli utenti, disse a suo tempo il ministro Dario Franceschini nel comunicare le tabelle relative ai rincari stabiliti. Nel giro di pochi giorni, però, le smentite sono già due, e si tratta delle due più importanti in termini di volume di mercato: Apple prima, Samsung poi.
Con Apple il fronte si è aperto a seguito dell’aumento dei prezzi comunicati poche ore dopo l’entrata in vigore delle nuove tabelle per l’equo compenso: la polemica è divampata con alcuni tweet che difendevano Franceschini e attaccavano il gruppo di Cupertino, ma è stato chiaro a tutti fin da subito come il fronte polemico fosse ormai irrimediabilmente aperto. La SIAE ha così voluto portare avanti l’azione dimostrativa più forte: alcuni iPhone sono stati acquistati in Francia e distribuiti ad alcuni ragazzi per dimostrare come il gruppo della mela tratti in modo differente le due nazioni e come l’equo compenso andrebbe assorbito senza scaricarlo sull’utente finale.
L’azione di Gino Paoli non ha però raccolto apprezzamenti, né ha saputo regalare argomenti validi alle tesi della propria compagine, anzi. Poche ore più tardi DDay ha comunicato come anche Samsung abbia portato avanti i medesimi rincari (tramite una missiva dei direttori di canale ai partner commerciali), negando una volta di più il teorema secondo cui non vi sarebbero stati costi extra per i consumatori. Una fonte affidabile ha confermato il tutto a Webnews.
Samsung risponde all’equo compenso
In realtà si tratterebbe nello specifico di un “adeguamento”, che porta a piccoli ritocchi al ribasso sui prezzi in alcune categorie e di più sostanziosi rincari su altre. In entrambi i casi il gruppo avrebbe comunque risposto specularmente alle modifiche improntate dal ministero alle tariffe per l’equo compenso, unendo quindi a doppio filo le due entità: i rincari sui prodotti e i rincari ai rimborsi per la copia privata. L’entità dell’aumento sarebbe pertanto direttamente proporzionale a quanto stabilito dalle tabelle ministeriali.
Samsung avrebbe consigliato tali adeguamenti ai propri partner poiché, in un momento di mercato particolarmente difficile per l’intero comparto, assorbire i rincari dell’equo compenso significherebbe dover rinunciare a margini di profitto troppo importanti. Tali circostanze impediscono pertanto di agire come da desiderio del ministero, le cui congetture sulla ricaduta dell’intervento sui prezzi sono state pertanto rapidamente smontate.
Sul tema si sono già sprecati fiumi di parole, ma l’origine del problema sembra essere anzitutto nella rapidità di un intervento partorito in modo particolarmente scomposto. Non solo i rincari hanno accelerato il divampare della polemica, ma anche la loro natura appare ormai non rispondente a quello che è il mercato: ignorato l’uso reale che vien fatto degli strumenti, ignorato l’imporsi di servizi simil-Spotify, ignorati i suggerimenti provenienti dal settore.
L’aumento dei costi consigliato da Samsung alle rivendite sul territorio, oltre a confermare l’azione già intrapresa da Apple, mette ancor più nell’angolo il ministero, il quale ora non potrà più difendere la prerogativa di tutto il proprio intervento: il costo è ricaduto due volte sugli utenti e negare l’evidenza è a questo punto impossibile.