La disputa legale tra Uber e i rappresentanti del mondo taxi non è un’esclusiva italiana. Il gruppo si è trovato a dover fronteggiare la resistenza di chi da tempo opera nel mondo dei trasporti anche in altri paesi. Uno di questi è la Turchia, che presto potrebbe impedire in via ufficiale al gruppo di offrire il proprio servizio di ride sharing.
L’intenzione è stata manifestata direttamente dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, durante un incontro andato in scena nella serata di venerdì. Si parla di un possibile blocco e di disposizioni diramate alle autorità. Il servizio è attivo sul territorio turco nella città di Istanbul dal 2014: da allora è entrato in competizione con i circa 18.000 tassisti della metropoli, che fin da subito hanno lamentato una concorrenza sleale da parte del gruppo. Ai driver di Uber è infatti sufficiente ottenere una licenza D-2 al costo annuale di 3.550 lire turche (circa 653 euro), mentre quella richiesta ai tassisti ha un valore che supera 1,68 milioni di lire turche (oltre 300.000 euro). Queste le parole di Erdoğan.
Abbiamo il nostro sistema di taxi. Dicono che in Europa sono presenti, ma a chi importa? Prenderemo una decisione da soli sulla questione. Il nostro Ministro degli Interni ha impartito gli ordini. La polizia che monitora il traffico affronterà la situazione facendo quanto si renderà necessario.
Al momento non sono giunte dichiarazioni ufficiali da parte di Uber e il servizio continua a operare come sempre nelle strade di Istanbul. La redazione di Bloomberg ha però raccolto le parole di Bekir Cambaz, imprenditore turco che controlla un parco macchine composto da 60 unità legato alla piattaforma: secondo lui è solo una boutade da ricondurre alla campagna elettorale in vista della chiamata alle urne di giugno.
Penso sia una promessa elettorale. Non credo che Uber sia realmente messo al bando in questo paese, davvero non me lo auguro.