Il Test di Turing è stato superato? Secondo una università londinese, si; secondo molti detrattori, no. Secondo noi il problema non è tanto nel “si” o nel “no”, quanto nel fatto che alla pomposità degli annunci faccia seguito ben poca sostanza. Non a caso, fin dalla prima ora, avevamo ammonito sulla questione consigliando prudenza di fronte ad una notizia tanto “eclatante”.
La notizia è rimbalzata sui media con clamore: il Test di Turing è un elemento iconico della storia dell’intelligenza artificiale, usato come riferimento per misurare lo stato di avanzamento in un ambito di grande importanza per il rapporto tra uomo e macchina, il che regala un risvolto popolare all’argomento. Nel momento in cui “Eugene Goostman” lo ha superato, il coro di elogio ha subito avuto come controcanto il coro della diffidenza. Ma è quest’ultimo ad avere la meglio, poiché oltre la coltre di fumo delle prime ore sembra rimanere sul campo ben poca sostanza.
Il Test di Turing, valido più come un semplice principio che non come vero precetto, è di per sé estremamente vago; nel caso specifico vaga è stata anche l’applicazione del test e ancor più vaga la deliberata interpretazione utilizzata per certificare la “vittoria” del chatbot sviluppato da Vladimir Veselov.
Si potrebbe discutere sulle reali regole del test, così come sull’improbabilità di un candidato che finge di essere un tredicenne (con tutti i limiti di una impersonificazione di un adolescente) di lingua russa (che pretende pertanto un giudizio debole in termini di semantica linguistica). Si potrebbe discutere sulla certificazione del risultato così come sulla pomposità degli annunci. Ma alla soggettività degli argomenti è forse più utile impattare con l’oggettività del test. Queste, infatti, alcune immagini derivanti dalla prova di “Eugene Goostman” da parte della redazione di Business Insider, sufficienti per dimostrare quanto vaga possa essere la risposta di fronte a talune domande:
Appare chiaro come la sintassi e le argomentazioni fornite dal bot non abbiano grosse peculiarità rispetto a quanto messo in capo da altri strumenti similari. Le scelte progettuali potrebbero però aver abbassato le pretese dei tester e il risultato potrebbe aver dunque gonfiato i reali meriti degli sviluppatori. Il risultato è però tutto fuorché clamoroso: i tormenti di Alan Turing continueranno ed il test funge ormai più da stimolo che da termine di misurazione.