La commissione europea ha risposto alla IWA, l’associazione dei professionisti del web che aveva denunciato il provvedimento di legge noto come webtax, confermando di essersi interessata della questione e di ritenere che sia stata superata dal governo Renzi. Questo è vero, ma solo in parte secondo Roberto Scano, che sul comma 178 rimasto nel decreto (oggi convertito definitivamente in Aula) ritiene potrebbe esserci un problema.
Quando l’IWA aveva sporto una denuncia a Bruxelles a proposito della webtax non era ancora chiaro cosa sarebbe stato dei tre famigerati commi dell’ex legge di stabilità del governo Letta, che aveva deciso di procrastinare l’attuazione della legge nata per risolvere a livello nazionale il profit shifting delle web company multinazionali. Poi è arrivato il decreto di Renzi, che risolse l’inghippo che vedeva la webtax in vigore perché infilata nel decreto salva Roma cancellando il comma 33, il cuore del provvedimento.
Resta però in campo il comma 178 sulle tracciabilità delle partite iva che non è stato emendato, nonostante i tentativi bipartisan in commissione. Da qui lo scambio Bruxelles-Venezia, tra la Commissione e l’IWA.
Bruxelles: la webtax non c’è più
La risposta della Commissione Europea a Roberto Scano, datata 28 aprile e firmata Matthias Schmidt-Gerdts, mostra che il governo continentale conosce bene l’argomento e che lo considera chiuso:
Risulta che il nuovo governo italiano abbia revocato la misura in questione e abbia deciso di non applicare la webtax a partire da marzo 2014. Alla luce di quanto precede, non ricorrono più i motivi sostanziali per la valutazione della Sua denuncia iniziale e non può essere individuata alcuna violazione del diritto dell’Unione. I servizi della Commissione intendono pertanto archiviare la denuncia.
Per il denunciante, fiero oppositore della webtax, resta però la questione della tracciabilità, che si potrebbe cancellare senza varianza finanziaria. Così commenta a Webnews riprendendo l’argomentazione della lettera spedita oggi a Bruxelles:
Si toglierebbe un inutile orpello. Una volta abrogato l’obbligo di partita iva italiana per l’acquisto di servizi online, resta un vincolo insensato, perché obbliga tali codici di pagamento elettronici che risultano limitativi e sostanzialmente contro la libera circolazione prevista in Europa. Ad esempio, se un soggetto italiano desidera acquistare dei servizi di pubblicità online può farlo solo se il soggetto beneficiario del pagamento accetta come pagamento il bonifico bancario, postale oppure – in caso di pagamenti con carte di credito/debito – lo stesso sia in grado di addebitare sul conto dell’acquirente italiano una causale che deve contenere anche il codice di P.IVA. Con tale limitazione normativa per il territorio italiano si impedisce qualsiasi acquisto automatizzato di servizi di pubblicità e promozione dall’estero tramite carta di credito, in quanto nessun fornitore estero prevede la pubblicazione della P.IVA all’interno della descrizione della transazione online.
La battaglia in Parlamento
Su questo tema c’è stato l’impegno di diversi parlamentari, ovviamente, come sempre accaduto con la webtax, su fronti opposti ma trasversali politicamente. Perciò è naturale vedere Antonio Palmieri (Forza Italia) riuscire a far approvare durante la discussione per la conversione in legge del decreto, due settimane fa, un ordine del giorno che impegna il governo a chiarire agli operatori questo obbligo di partita iva, smentito in altre sedi dello stesso decreto. Argomentazione che vede d’accordo anche esponenti del PD come Paolo Coppola.
@antoniopalmieri grazie da un lobbista…
del buon senso!#webtax
cc @rscano
e con buona pace di @rafbarberio pic.twitter.com/B2HPsDTxEk— Andrea Caccia 🇮🇹🇪🇺🇺🇳 (@andreacaccia) April 10, 2014
Sull’altro fronte, ci sono parlamentari come Sergio Boccadutri (SEL), noto per la sua battaglia contro l’epayment divide, e il padre della webtax, Francesco Boccia, che invece pensano di riprendere nuovamente delle iniziative sull’elusione fiscale, quest’ultimo approfittando della strana coppia Confalonieri-De Benedetti, da sempre sostenitori della webtax che fu.
Se due editori di estrazione così diversa esprimono gli stessi giudizi ed effettuano le medesime valutazioni sul rapporto tra economia digitale e ruolo delle multinazionali del web ed equità fiscale, significa che il dibattito politico e culturale avviato da tempo nel nostro Paese e in Parlamento intercettava un malessere oggettivo. (…) Per questa ragione il prossimo 5 giugno si terrà alla Camera dei deputati un confronto pubblico organizzato dalla commissione Bilancio sull`equità fiscale.
https://twitter.com/F_Boccia/status/461131534343602177
Da tutto questo si evince che se per l’Europa la webtax è un capitolo chiuso, in Italia ancora no, e potrebbero esserci sorprese.