Bruxelles contro Pechino in una sfida sulle telecomunicazioni, un affare gigantesco tra due potenze che scambiano merci per un valore di mezzo triliardo di euro. I nomi coinvolti sono Huawei e ZTE, rispettivamente al secondo e al quinto posto mondiale nella produzione di apparecchiature per le telecomunicazioni, ma che secondo la Commissione europea al Commercio sono anche avvantaggiate da aiuti di stato che determinano le condizioni per una concorrenza sleale.
Questione delicata per il commissario Karel De Gucht, che sulla scrivania ha le rimostranze di partner di casa come Alkatel, Ericsson, Nokia, ma non dispone di molti strumenti se non provare a dimostrare il reato di dumping (molto diffuso in tutti i mercati internazionali legati alla tecnologia, anche negli Stati Uniti) e quindi applicare delle tariffe doganali punitive per alzare il prezzo delle apparecchiature considerate sotto costo.
L’Europa si trova in difficoltà rispetto alla quantità eccezionale di apparecchiature a basso costo provenienti dalla Cina e sta lavorando a diversi progetti di difesa commerciale delle proprie aziende e dei mercati, perché è quasi impossibile competere con chi dispone di una forza lavoro infinita e aiuti di stato illegali nel vecchio continente.
La notizia, rimbalzata da uno scoop del Financial Times, è che alcuni funzionari europei – che hanno voluto restare anonimi – avrebbero confermato di aver raccolto prove sufficienti ad aprire un ricorso formale rivolto ai cinesi per concorrenza sleale. Si potrebbe pensare non ci sia niente di nuovo, ma in realtà il caso si differenzia dalle precedenti denunce commerciali dell’Unione europea nei confronti della Cina perché non si tratta di manufatti di fascia bassa, come acciaio o piastrelle di ceramica, ma dell’avanguardia tecnologica, di grande importanza strategica. Come spiega la testata finanziaria, «sarebbe anche la prima volta che la Commissione, organo esecutivo dell’UE, avvia un’indagine commerciale di sua spontanea volontà e non in risposta a una denuncia formale presentata da una società privata o un gruppo».
Il motivo è presto detto. Talune aziende cinesi sono allo stesso tempo concorrenti e fornitrici di componenti per le società del continente, perciò queste ultime temono che una presa di posizione individuale e non politica comporterebbe dei problemi economici superiori a quelli derivanti dal dumping, ad esempio ritorsioni sulla presenza delle medesime aziende in Cina.
Molti si chiedono, a questo punto, che successo potrà mai avere un eventuale ricorso dell’Europa, in preda a una grave crisi del debito e a crescita zero, contro il secondo partner commerciale per importanza dopo gli Usa. Non a caso, i 27 stati membri hanno già fatto intendere che non voteranno nessuna tariffa prima della visita a Bruxelles, la prossima settimana, di Chen Deming, Ministro del Commercio della Cina.