Per Bruxelles è arrivato il momento di scoprire le carte a proposito del nuovo regolamento sul copyright. Puntuale come sempre, dall’altra sponda dell’Atlantico emergono alcune preoccupazioni su possibili balzelli e burocrazie che possano toccare le web company californiane. Uno dei must è la questione irrisolta del rapporto tra editori e Google News. Il Financial Times ha rilanciato l’ipotesi che la Commissione Europea possa introdurre una forma tassa da applicare agli aggregatori di notizie.
Si tornerebbe insomma a parlare di tassare i microcontenuti di Google News per finanziare l’editoria, che tutti sanno essere in crisi, per i cosiddetti “diritti connessi” (neighbouring rights) che giustificherebbero un prelievo. Il tema è già stato affrontato molte volte in questi ultimi anni, con fughe in avanti nazionali (ad esempio la Spagna o la Germania) ma nessuna vera proposta organica. Nel testo europeo invece potrebbe esserci un tentativo, da discutere con tutti i player in campo, di introdurre una norma generale che migliori l’attuale rapporto di forza tra realtà territoriali e multinazionali.
Nessun obbligo, secondo la fonte citata dal FT, ma una strada diversa rispetto alla chiusura totale avvenuta in Spagna o gli accordi universali di licenza libera a cui si è arrivati in terra tedesca. I funzionari europei sarebbero convinti, sempre secondo queste indiscrezioni, che introducendo la possibilità per gli editori di imporre una tassa in tutta l’UE costringerebbe le aziende come Google ad essere più malleabile ad accordi che riconoscano il ruolo fondamentale di questi alla stessa ricchezza del motore di ricerca.
È molto più complesso di quanto sembri, non è solo questione di ridicolizzare l’idea di far pagare la più grande vetrina del mondo del tuo contenuto invece di ringraziarlo, anche se talvolta alcuni esponenti dell’editoria e dell’informazione particolarmente sclerotizzati meritano di essere denunciati per la loro ingenuità. Il problema è quello sollevato, ad esempio, da Alessandro Baricco a Perugia un paio di anni fa (tra l’altro erano i tempi della prima procedura Europea contro Google): l’opera distruttiva dei colossi della Rete ha degli aspetti sani, però talvolta faticano a ragionare in termini ecosistemici. In parole povere, non rivolgono la giusta attenzione ai veri produttori del loro habitat, intenti come sono al business ritagliato sui clienti.
La questione è dunque più culturale che economica: convincere Google, con le buone o con le cattive, a riconsiderare il gap value; prendendosi un rischio enorme, cioè che Big G scelga semplicemente di non mostrare più contenuti e link di chi pretenderebbe di essere pagato finendo col perdere volontariamente il 90% della sua visibilità online. E tutto questo all’interno di un quadro più generale, cioè la sensibilità tutte europea su aggregatori e host (soprattutto video) e piattaforme varie colpevoli secondo il governo europeo di non riconoscere proattivamente la giusta compensazione ai detentori di diritti.
The EU is ripping up its copyright rules. What happens now? https://t.co/4JVR0dMN7I pic.twitter.com/dUu0DO4sJ4
— Financial Times (@FT) August 26, 2016
Il continente europeo sta ridisegnando i media secondo una visione differente rispetto ai creatori delle piattaforme che li rendono possibili e che europei non sono. Questo è un dato di fatto. Quasi superfluo aggiungere che se così staranno le cose, arriverà un autunno caldo nei rapporti tra silicon valley e Bruxelles.