In piena F8, la convention per gli sviluppatori, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha rivolto dal palco un breve cenno a proposito della terribile vicenda di Steve Stephens (l’assassino di Cleveland che ha pubblicato un video del suo reato di omicidio) impegnandosi a “fare tutto il possibile per evitare si ripetano tragedie come questa”. Aveva già, il giorno precedente, espresso la sua vicinanza alla famiglia della vittima, Robert Godwin. Qualche ora fa, Stephens si è ucciso mentre veniva inseguito dalla polizia. Allora la domanda è: perché definirlo “l’assassino di Facebook”? Quelli che usano il telefono sono mai definiti in questo modo?
Il commentario giornalistico mainstream soffre di una patologia grave: premette correttamente l’impossibilità, salvo poi derubricarla a mancanza di reale volontà. Come ci riesca senza notare la contraddizione, è inspiegabile. La maggior parte dei commentatori ha giustamente elencato i numeri impressionanti di un social da due miliardi di persone: matematicamente parlando, la creazione di contenuti su Facebook non è umanamente trattabile, dunque neppure controllabile. Gli esperti hanno già anche dimostrato come, allo stato attuale, l’Intelligenza Artificiale non è ancora sviluppata a sufficienza per individuare un video di 57 secondi dal contenuto terrificante come un omicidio nel flusso di centinaia di ore di video al minuto caricati sul social. Gli algoritmi riescono a malapena a capire se c’è un nudo, e spesso sbagliano.
Mark Zuckerberg speaks about Steve Stephens and the Facebook Live killing in Cleveland. pic.twitter.com/nGZrNkJJCI
— Steven Romo (@stevenromo) April 18, 2017
Fino al giorno in cui le macchine conviveranno con noi – con tutte le implicazioni che questo comporta, persino l’ipotesi di essere sostituiti – quel che si richiede a Facebook è semplicemente impossibile. Al momento, perché i teorici e studiosi dell’AI sostengono che è solo questione di tempo. Qualche anno. A quel punto, la combinazione del lavoro di centinaia di migliaia di segnalatori e taggatori di video verrà compreso da una macchina che chiuderà il cerchio e farà il lavoro in quasi-tempo-reale. Evitando la brutta esperienza capitata ai parenti della vittima che per più di un’ora hanno pregato le community di non condividere quel video. Non avendo alcun tag né essendo il primo post, di annuncio, mai letto da nessuno, di fatto ai moderatori di Facebook sono serviti 23 minuti per cancellare il video dopo le segnalazioni. A ciascuno il giudizio su quanto questo lasso di tempo sia intollerabile. Magari pensando che non c’è alcun paragone possibile con la realtà fisica.
Please please please stop retweeting that video and report anyone who has posted it! That is my grandfather show some respect #Cleveland
— Ry’ (@god_winr) April 16, 2017
Impedire le terze parti sui video
Quali altre opzioni restano sul campo? Ne resta solo una tecnica, e una, più importante, culturale. La prima: provare a rendere difficile scaricare un video, come già succede su Instagram, ostacolando siti di terze parti specializzati nel ricondividere su altre piattaforme i video caricati sul social network. La seconda, molto più importante, è banale ma a quanto pare bisogna sempre ribadirla: non si può sostenere l’impossibilità del controllo preventivo (sarebbe censura) e di quello in temporeale (ci vorrebbe un AI da fantascienza) e poi sostenere che Facebook è colpevole per il video dell’assassino perché “non fa abbastanza”. Qualcuno di grazia ci spieghi com’è possibile non fare abbastanza per l’impossibile, perché noi non ci arriviamo: secondo logica, tutto sarà sempre insufficiente rispetto all’impossibile.
Facebook è un poliziotto perfetto
Si aggiunga un altro elemento che non è stato ammesso da nessuno: considerando le caratteristiche di un sito come Facebook, postare un video in cui si mostra di compiere un reato equivale a un’autodenuncia dove ci si mostra con la propria identità, si rivela cosa si è fatto, a chi e in che preciso istante, in che luogo, chi sono i tuoi parenti, da chi ti potresti nascondere, come ti stai muovendo. È in pratica un suicidio, che infatti è l’epilogo finale di questa orribile vicenda. Gli assassini ci sono sempre stati, e quando hanno voluto, per problemi mentali, pubblicizzare i loro atti hanno usato telegrammi, messaggi in caselle postali, lettere ai giornali, dirette televisive. Nessuno di questi mezzi è mai stato particolarmente idoneo a catturarli. Facebook invece sì. Dunque, se è totalmente scorretto definire qualcuno l’assassino di Facebook, al limite si può dire che è Facebook ad averlo incastrato.