Dopo un anno e mezzo di lotte legali a colpi di prove, Facebook mostra finalmente i messaggi scambiati tra il CEO Mark Zuckerberg e il webmaster Paul Ceglia. La diatriba, iniziata nel luglio del 2010, riguardava un contratto stipulato nel 2003 tra i due, e, stando a ciò che Ceglia portò presso la Corte Suprema dello stato di New York, quest’ultimo dichiarò di aver diritto all’84% delle quote della società.
Facebook fin da subito ha definito infondate e frivole le accuse di Ceglia, ma adesso sta cercando di mettere la parola “fine” sul fascicolo che riguarda la questione. Nei messaggi scambiati tra Mark Zuckerberg e il webmaster nel 2004 non c’è conferma alle accuse, anzi è proprio l’attuale CEO del social network – ai tempi studente di Harvard – a lamentarsi di un ritardi nei pagamenti da parte di Ceglia per il progetto StreetFox.
Gli avvocati di Facebook, oltre a voler chiudere definitivamente la questione, accusano la parte opposta di aver manipolato le prove: Ceglia portò in tribunale le email scambiate col giovane, volendo dimostrare la veridicità delle sue dichiarazioni, e adesso sostiene che queste conversazioni non esistono in forma nativa. Pare le abbia digitate su Microsoft Office Word, perché il suo programma di posta le avrebbe eliminate automaticamente.
Ma il social network non cede, e specifica – soprattutto adesso che ha in mano le vere conversazioni tra i due, recuperate dai server dell’Università di Harvard – che le email di cui parla Ceglia in realtà non sono mai esistite e che, scrivendole su Word, il webmaster abbia cercato di trarre in inganno il giudice.
Stavolta Facebook chiede alla Corte di respingere in maniera definitiva le accuse portate avanti da Ceglia, che già a gennaio venne multato per una mancanza di rispetto nei confronti delle richieste espresse dal giudice. Non dovrebbe quindi trattarsi di un attacco fondato, come ipotizzato all’inizio.
Di certo, Mark Zuckerberg finisce spesso davanti a un giudice, per il valore da capogiro del suo social network, che fa gola a tutti quelli che ne hanno condiviso in parte la creazione. Ricordiamo il caso dei fratelli Winklevoss, ad esempio, i quali reclamarono i propri diritti nei confronti della piattaforma.