I nostri profili assomiglieranno sempre più a ottimi spazi pubblicitari. Questo è lo scenario di cui si parla dopo che Facebook ha ufficializzato il suo Sponsored Stories. Ma di cosa si tratta?
In pratica, il social network di Palo Alto si appresta a trasformare i nostri like e i nostri post in banner pubblicitari, senza il nostro permesso. Utilizzando i nostri amici come clienti di questo messaggio, sulla base della considerazione che quando inseriamo un post, esprimiamo una preferenza oppure facciamo check-in in un dato esercizio commerciale, invitiamo i nostri amici a fare altrettanto.
La questione è delicata, e sta montando negli States (il primo paese in cui è partita la nuova feature, ieri mattina) una polemica sulle scarse opzioni concesse agli utenti. Tanto che qualcuno già accusa Facebook di volerci far diventare una spam per i nostri amici.
Sotto il titolo di “Sponsored Story” di fatto si vede lo stesso elemento di un check-in o di un post linkato ma evidenziato nella colonna di destra, solitamente dedicata alla pubblicità.
Jim Squires, dell’ufficio marketing, difende sul Wall Street Journal questa scelta, spiegando come questo sistema permette agli inserzionisti di acquistare e ripubbliccare messaggi pubblicitari che gli utenti, liberamente, producono coi loro contenuti, sfruttando il passa-parola in larga scala, senza nemmeno dover lavorare sugli algoritmi.
“Le storie sponsorizzate sono copie esatte dei commenti e dei chech degli utenti già visibili sulle bacheche.”
Il piano di lancio di Sponsored Story prevede l’ingresso di Coca-Cola, Levi’s e altri brand, ma anche no-profit come Amnesty International e l’Unicef, ma chiunque può comprare questi spazi con un accordo basato su traffico o click.
Di sicuro è una novità complessa, ancora tutta da valutare, ed è il modo più aggressivo e rischioso mai visto su Facebook per monetizzare le attività degli utenti oltre alla normale pubblicità display basata sul traffico generale del social network.
Le storie sponsorizzate assomigliano molto ai Promoted Tweets su Twitter, con la differenza che su Big F l’inserzione viene definita dall’attività dell’utente e nel formato del sito.
Tuttavia, qualche perplessità resta e le descrive molto bene David Berkowitz su Mashable:
“È improbabile che gli utenti scateneranno una rivolta, ma un po’ di disagio ci sarà. Considerate queste due domande: Primo: Ti sta bene che gli inserzionisti usino i tuoi aggiornamenti nelle loro pubblicità senza il tuo consenso? Secondo: Quando interagisci pubblicamente con i tuoi marchi o le tue aziende preferite, a loro andrà bene che questo sia caratterizzato in messaggi che solo i tuoi amici possono vedere?”
L’articolo poi prosegue in una lunga e critica disamina sugli aspetti di questa feature ma che conclude con una proposta: renderla opzionale.
“La soluzione potrebbe essere quella di suggerire, in home page, oltre che gli amici, anche possibili inserzionisti interessati ai nostri update. Una volta concesso il permesso, Facebook potrebbe velocemente fornire i nomi degli utenti agli inserzionisti.”
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