C’è un posto in cui Google non può portare la propria ricerca, e questo luogo è Facebook. Si tratta di un luogo estremamente ampio e popolato: 1 miliardo di persone che gravitano attorno ad un solo sito Web, ognuna delle quali spaventata che occhi indiscreti possano esplorare in modo troppo indiscreta la loro vita. Questa situazione sta per diventare uno dei nuovi valori del social network: ove Google non può arrivare, infatti, arriverà il nuovo Graph Search.
L’importanza della novità potrà essere chiara soltanto in divenire, quando l’efficacia e la facilità della ricerca saranno comprovate dalle query degli utenti. Tuttavia fin da ora è chiara l’importanza strategica del progetto: Graph Search è qualcosa più del Web Search perché da una parte evita un impossibile faccia a faccia con Google, e dall’altra va a dare vita ad un modo del tutto nuovo di pensare la ricerca: non un modo di esplorare un luogo collettivo, ma un modo per esplorare luoghi privati a cui si ha accesso.
La missione di Facebook consiste nel rendere il mondo più aperto e connesso. Per farlo, una delle nostre priorità è fornire gli strumenti per tenere traccia delle connessioni con le persone e le cose a cui tengono. In questo modo si genera una sorta di mappa, che chiamiamo “grafo”, di dimensioni molto vaste e in continua espansione grazie all’aggiunta di persone, contenuti e connessioni. In questa mappa ci sono già oltre un miliardo di persone, più di 240 miliardi di foto e oltre un trilione di connessioni.
La privacy diventa un valore
Mark Zuckerberg è stato chiaro fin dalle prime parole: la privacy è il dogma fondamentale attorno a cui tutto è stato costruito. La privacy, di per sé, diventa in tal senso la membrana sottile che definisce la propria sfera personale: quel che è dentro potrà essere cercato e trovato, mentre tutto quel che è fuori sarà off-limits. In tutto ciò la sovrapposizione con Google sarà minima e limitata agli elementi che l’utenza rende volontariamente pubblici (a cui Google ha quindi accesso).
Il Graph Search di Facebook consentirà di rendere Facebook un luogo molto più utile di quanto non lo sia stato fino ad oggi. Questo perché (ed in molti sospireranno un “finalmente”) l’esplorazione tra le connessioni di Facebook aggiunge una dimensione nuova al mondo del social network, creando una sorta di profondità nel quadro generale che ogni utente può avere della propria cerchia sociale. La ricerca potrà consentire l’emergere di informazioni e connessioni precedentemente ignorate, permettendo di trovare luoghi, persone, musica, film ed altre entità non sulla base di parole chiave, ma sulla base delle relazioni che legano ogni singolo item.
La privacy, da limite e insidia, diventa valore aggiunto: consente di esplorare la ricchezza del proprio mondo interiore tenendolo al di fuori della portata dei crawler che imperversano tra le pagine Web, garantisce la sicurezza delle informazioni e definisce di fatto l’esperienza di ricerca di ogni singolo individuo. La password di Facebook non sarà più soltanto un viatico verso la propria pagina, insomma, ma una vera e propria formula magica che determinerà cosa sia possibile trovare e cosa non sia possibile invece sapere poiché al di fuori della propria portata e delle autorizzazioni che si sono avute.
La privacy che hai scelto determina cosa può comparire nei risultati di ricerca: Con la ricerca tra le connessioni di Facebook, puoi cercare qualsiasi cosa sia stata condivisa su Facebook e gli altri possono trovare le cose che hai condiviso con loro, compresi i contenuti per i quali hai scelto l’impostazione Pubblica. I risultati sono quindi diversi per ogni persona.
Inutile a dirsi: tra le maglie di un sistema tanto complesso può annidarsi più di un pericolo. Il timore per un sistema tanto capillare, però, terrà sicuramente alta l’attenzione ed il passato di Facebook solleciterà molti a tenere alta la guardia: una sola imperfezione nell’algoritmo può diventare uno spiraglio di clamorosa pericolosità, cosa che il gruppo non può permettersi e cosa che l’utenza non perdonerebbe di buon grado. Non più.
È nato l’anti-Google?
Il Graph Search e la ricerca sul Web sono due cose molto diverse. La ricerca sul Web è progettata per fornire i migliori risultati possibili a partire da un insieme di parole chiave (ad esempio “hip hop”). Con il Graph Search, l’utente combina delle frasi (ad esempio “my friends in New York who like Jay-Z” ovvero “amici che vivono a New York a cui piace Jay-Z”, ma per ora la ricerca deve essere effettuata usando la piattaforma in inglese) per visualizzare un insieme di persone, luoghi, foto o altri contenuti condivisi su Facebook. Sono tanti i modi in cui gli utenti possono usare questi risultati.
Il Graph Search è la continuazione lineare e naturale del modo in cui Facebook è cresciuto fino ad oggi: una volta incamerata una ingente quantità di persone, entità e relazioni, il gruppo ha iniziato a chiedersi come poteva valorizzare al meglio tutto quanto gestito sui propri server. Graph Search, che una volta disponibile sarà temporaneamente in beta release, è un passo importante il cui valore strumentale sarà espresso dalle ricerche e dalle connessioni di ognuno. I risultati saranno infatti lo specchio della propria cerchia, delle proprie amicizie, dei contatti che ci si è riusciti a creare.
Da sempre la segretezza è stata la peculiarità che ha distinto Facebook da Twitter. Oggi la differenza si fa ancor più sostanziale: mentre Twitter gioca sulla disponibilità pubblica di contenuti, Facebook blinda invece i profili poiché ogni muro genera una esperienza privata che ogni persona può accudire secondo propria natura, rispecchiando la propria vita nel proprio account. La privacy che deve difendere l’utente dall’esterno, al tempo stesso lo rinchiude in una sfera intima entro cui potrà entrare solo chi è autorizzato: un concetto di proprietà privata applicato al social networking, in qualche modo, e chissà che la cosa non possa essere analizzata in divenire proprio sulle dinamiche che il privato oppone al pubblico e viceversa.
Un motore di ricerca, ma un motore di ricerca del tutto differente da quelli fino ad oggi conosciuti. Un concetto nuovo di esplorazione, un sistema altro e alternativo a quello di Mountain View. Peraltro senza la pretesa di avere una risposta per tutto: quando l’utente formulerà una domanda troppo complessa o con risultati poco soddisfacenti, Bing correrà in soccorso offrendo una consulenza di stampo differente, di natura complementare, ma ancora una volta alternativa a Mountain View.
Se presto o tardi dovrà nascere un anti-Google, insomma, forse il baccello ha iniziato a prendere forma oggi dalle parole di Mark Zuckerberg. Perché il passato dimostra che Google non lo si può sconfiggere sul suo campo, ma forse si può spostare l’attenzione degli utenti altrove e cambiare così di fatto le regole del gioco. Poco alla volta, giorno dopo giorno, like dopo like, connessione dopo connessione.
Dov’è il business?
Poco alla volta significa però anche “lentamente”. Mark Zuckerberg lo conferma con le sue parole: «abbiamo anni ed anni di lavoro davanti a noi». Un motore che si fa valore, insomma, ma che al tempo stesso non si fa moneta. Non subito, non ora. Il beta test è stato lanciato per chi utilizza Facebook in lingua inglese: chi vuole provare la novità sulla versione italiana del social network può iscriversi nella lista d’attesa (che promette di farsi immediatamente lunga) tramite l’apposito modulo. Dopodiché non resta che aspettare.
La borsa, infatti, non sembra apprezzare: l’annuncio ha portato immediatamente il titolo a perdere 2 punti percentuali dopo una apertura in territorio positivo, il che ben fotografa lo scetticismo con cui il mercato ha accompagnato la novità. Il timore è che la montagna abbia partorito il topolino: il lungo periodo è sicuramente una prospettiva solida, ma la finanza vorrebbe risultati più immediati e più concreti da portare nei propri bilanci.