Facebook e lavoro: la password vale più di un curriculum

Si utilizza la password di Facebook per valutare un candidato a livello professionale: oggi è sempre più di moda.
Facebook e lavoro: la password vale più di un curriculum
Si utilizza la password di Facebook per valutare un candidato a livello professionale: oggi è sempre più di moda.

Facebook vale più di un curriculum o di una lettera di referenze? Pare proprio di sì, almeno a sentire le notizie che arrivano dagli USA riguardo l’utilizzo che datori di lavoro, allenatori e selezionatori di risorse umane fanno del popolare social network.

A quanto pare, Oltreoceano non sono pochi coloro i quali sono soliti consultare Facebook per capire meglio la personalità di un possibile candidato per un posto di lavoro, andando anche oltre quello che si può vedere sulla bacheca pubblica e arrivando addirittura a chiedere all’aspirante lavoratore le credenziali d’accesso all’account, in modo da entrare al posto del legittimo proprietario e dare uno sguardo indiscreto a contatti, foto e tutto quanto è stato caricato sul sito.

Se sulla legalità della cosa c’è poco da discutere, visto che sono gli stessi candidati ad accettare la cessione della password a chi potrebbe loro dare lavoro, sorge un dubbio riguardo l’aspetto etico della vicenda, oltre che sulla reale utilità di un simile monitoraggio ai fini dell’assegnazione di un incarico o di un posto in squadra, nel caso in cui si tratti della selezione di un atleta.

Tale comportamento è diventato prassi nel Maryland, tanto per citare un esempio, qui i responsabili delle risorse umane del Department of Corrections (il dipartimento che si occupa della sorveglianza dei detenuti) sono soliti chiedere agli aspiranti dipendenti le loro credenziali per accedere al loro account e saperne di più su chi hanno davanti.

Lo stesso accade inoltre in numerosi college e in qualche università, dove molti studenti che praticano sport devono sottostare alla sorveglianza digitale del loro allenatore, il quale deve avere per regolamento accesso agli account dei suoi giocatori per capire meglio cosa dicono su Facebook e con chi interagiscono.

Questo particolare strumento di selezione ha creato non poche polemiche negli USA, specie dopo che tale Robert Collins, un aspirante dipendente del Department of Corrections, ha denunciato l’accaduto all’American Civil Liberties Union spiegando che durante il colloquio per la selezione si è trovato costretto a cedere al suoi interlocutore le credenziali d’accesso a Facebook.

In ambito sportivo la cosa assume un valore ancora più pesante, anche perché pare che l’equazione “niente password=niente sport” sia diventata ormai prassi comune in numerosi casi a causa della volontà degli allenatori di controllare da vicino la vita fuori dal campo dei propri giocatori e agire di conseguenza al momento di schierare la formazione. Non manca chi ha parlato di chiara e netta violazione della privacy, paragonando questi casi di “spionaggio” alle azioni tipiche a cui si assiste nei paesi in cui vige un regime totalitario invece che una democrazia.

In definitiva, sembra proprio che la reputazione sul social network diventi sempre più uno specchio fedele della persona e assuma rilevanza anche nel contesto della vita reale, varcando i confini del Web per avere i suoi effetti, positivi o negativi che possano essere, sulle interazioni sociali e sulla carriera lavorativa o sportiva di una persona. Che sia proprio Facebook quel “Grande Fratello” immaginato da George Orwell e mai identificato nel suo romanzo “1984”?

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