Facebook ha apposto la sua firma in calce a una petizione al FISC, Foreign Intelligence Surveillance Court, il tribunale che valuta la legittimità delle azioni della intelligence americana e il rispetto delle leggi sulla sicurezza nazionale rispetto alla privacy dei cittadini sul suolo americano. Le società tecnologiche americane chiedono di poter pubblicare più dati sul volume e sulla qualità delle informazioni che sono obbligate a fornire.
La petizione era stata ampiamente anticipata dal primo transparency report di Facebook, la scorsa settimana. Lo stesso Colin Stretch torna sull’argomento nella sala stampa del sito per annunciare il documento, partendo da lontano:
Nel corso degli ultimi mesi, in mezzo a notizie di stampa che speculano sulla natura e la portata dei programmi governativi volti alla sicurezza delle persone, abbiamo chiesto più volte ai governi di tutto il mondo di poter fornire maggiori dettagli circa le loro operazioni. Li abbiamo anche esortati a consentire alle imprese di divulgare le informazioni relative agli ordini del governo e le richieste che ricevono, in maniera e in misura tale da non compromettere le legittime preoccupazioni sulla sicurezza. (…) Quegli sforzi hanno incontrato inizialmente un certo successo. Nel mese di giugno, a seguito di discussioni con il governo degli Stati Uniti, noi e una serie di altre aziende abbiamo avuto il permesso di pubblicare, all’interno di un range, il numero totale di richieste – in applicazione della legge – di dati utente che abbiamo ricevuto in un dato periodo, relative anche alla sicurezza nazionale. Questo ci ha permesso di rilasciare informazioni che confutano molte delle notizie di stampa stravaganti e false che circolano al momento. E ci ha permesso di chiarire che un irrisorio numero di persone che utilizzano Facebook – una piccola frazione dell’uno per cento – sono stati oggetto di qualche tipo di richiesta del governo degli Stati Uniti lo scorso anno.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Al netto dei problemi, enormi, derivanti dalla capacità della NSA di prelevare dati direttamente dai cavi e di decrittare ogni dispositivo, anche quei pochi dati legalmente chiesti ai server di queste aziende non corrispondono al numero effettivo. Da qui la petizione, anche perché Facebook scrive nero su bianco che con Washington non si stanno facendo progressi:
Le azioni e le dichiarazioni del governo degli Stati Uniti non hanno adeguatamente affrontato i problemi delle persone in tutto il mondo sul fatto che le loro informazioni siano al sicuro. Crediamo che la gente meriti di essere più informata e vorremmo contribuire a promuovere un dibattito su come i programmi di sicurezza governativi possano bilanciare adeguatamente gli interessi della privacy e quelli della sicurezza pubblica. (…) Non siamo stati autorizzati a specificare anche approssimativamente quante di queste richieste appartengono alla NSA né ci è stato permesso di fornire informazioni che identificano il numero di tali richieste. Nelle ultime settimane è ormai chiaro che il dialogo con il governo degli Stati Uniti, che pure ha prodotto qualche maggiore trasparenza, non si presta più a progressi.
La petizione
Che destino potrà avere questo documento? Innanzitutto, c’è da notare che pur essendo legato al parere di altre aziende, come Google e Microsoft, questa petizione resta un documento solitario, anche se in pratica identico a quelli presentati già da altri. Con fatica si sta cercando di creare una voce unica contro le pratiche della NSA e l’atteggiamento filo-nazionale della Corte, ma i continui aggiornamenti dei quotidiani sulle rivelazioni di Edward Snowden non contribuiscono certo a calmare l’ambiente, e rischiano di polarizzare il dibattito e mettere in difficoltà tutto il sistema.
Prospettiva che, ovviamente, spaventa la Silicon Valley, che ritiene di essere più vittima che complice di queste azioni. E forse questo tipo di petizioni servono soprattutto, se non soltanto, a questo: frapporre una distanza tra la California e Washington. Che sia il Pentagono o la Casa Bianca.