La comunicazione è potere, ma anche il potere è di fondamentale importanza per il mondo della comunicazione. A conoscere benissimo i meccanismi di questo rapporto simbiotico sono soprattutto gli americani, con i grandi gruppi media che sono soliti finanziare più o meno lautamente questa o quella parte politica al fine di “ingraziarsi” il candidato di turno in vista di una sua possibile elezione. In questo meccanismo, come grande realtà dei nuovi media, non può non entrare anche Facebook.
Si tratta delle cosiddette azioni di lobby, che proprio negli USA, in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali, hanno visto protagonista in questi anni il social network di Mark Zuckerberg. Gli investimenti di Facebook in questi progetti sono praticamente triplicati nell’ultimo anno, passando da 320.000 a 960.000 dollari nel periodo compreso tra il secondo trimestre del 2011 e lo stesso periodo del 2012, portando a una spesa complessiva di quasi 4 miliardi di dollari entro fine anno, sempre che le tendenze attuali saranno confermate.
Se le cifre in ballo per Facebook possono sembrare altissime, in realtà sono basse rispetto a quanto elargito ai politici da Google, perché il gigante dei motori di ricerca investe infatti in un solo trimestre più o meno la stessa cifra che Zuckerberg investe in un anno. Ma cosa spinge aziende che nelle loro attività quotidiane nulla hanno a che fare con la politica nel finanziare le campagne elettorali dei vari candidati? La risposta arriva direttamente da quanto dichiarato da un portavoce di Facebook:
La nostra presenza e crescita a Washington riflette il nostro impegno nello spiegare come funziona il nostro servizio, le azioni che intraprendiamo per difendere più di 900 milioni di persone e l’importanza di preservare l’apertura di internet ed il valore dell’innovazione nella nostra economia.
Le aziende attive sul Web, come molti altri gruppi di svariati settori, cercano di mettere solide basi nei piani alti della politica americana, coltivando il sistema delle lobby con l’obiettivo di trovare degli interlocutori il più possibile amichevoli nel momento in cui il loro operato, o al meno una parte delle loro attività, finirà per dipendere da importanti decisioni politiche, i modo da far pressione su chi comanda per ricavarne dei benefici e rientrare così, in un certo senso, degli investimenti fatti.