Abbiamo scoperto che Facebook ha ridotto i gradi separazione tra sconosciuti come mai prima. Ma anche nell’altra grande area, quella delle amicizie, non mancano risultati sorprendenti.
L’amicizia è stata la fortuna di Big F, fin dai suoi esordi. Sull’ossessiva richiesta e collezione di amicizie si è detto molto, ora però arriva uno studio scientifico che paragona l’attività sul social network a una dipendenza.
Due antropologi dell’Università di Oxford, Robin Dunbar e Anna Machin, hanno pubblicato un articolo nel quale si applicano le neuroscienze al Web 2.0, partendo da una domanda: cosa ci costringe a passare ore con qualcuno col quale non stringeremo rapporti personali o sentimentali? C’è una ragione evolutiva in questo eccezionale dispendio di tempo?
La risposta dei due scienziati sta in un piccolo neurotrasmettitore, un oppioide naturale che si occupa di rendere piacevoli gli incontri con persone che non sono genitori, figli o partner. Impossibile resistere alla tentazione di ricordare la definizione marxista, parafrasandola: Facebook è l’oppio dei popoli?
Ovviamente no, ma l’intuizione della ricerca mette sotto una nuova luce Facebook, considerato scientificamente come un moltiplicatore di endorfine, delle quali (esattamente come per l’esercizio fisico) non riusciamo più a farne a meno, pena un senso terribile di depressione.
L’intuizione è notevole: sulle altre droghe naturali si è scritto tantissimo (gli ormoni dell’amore, della gelosia, del matrimonio e via dicendo) e forse anche troppo, sulle droghe dell’amicizia e su come funzionano si è sempre studiato molto meno. Tanto che probabilmente il merito principale di Facebook, da questo punto di vista, è aver fornito uno studio empirico.
Capace però di mettere in crisi alcuni dogmi della neuroscienza, come quello che afferma che non siamo in grado di stabilire relazioni emotive stabili con più di 150 persone. Sarà proprio così?