Facebook ha deciso di aprire i post degli under 18 anche alla visione pubblica. Decisione controversa, perché da un lato permette a questa fetta importante della popolazione del social di esprimere la propria personalità, dall’altro consente in linea teorica un contatto sconosciuto-minore che le restrizioni precedenti impedivano, anche se non completamente. Già qualcuno parla di lasciapassare per cyberbullismo e pedofilia, ma è davvero così?
Fino ad oggi Facebook permetteva alla fascia d’età 13-17 anni di condividere i propri post con gli “amici degli amici”, opzione di default. D’ora in avanti, invece, tutti i post saranno pubblicati con il pubblico più ristretto degli amici, ma sarà possibile modificare la platea potenziale del contenuto come permesso agli adulti, cioè anche con post pubblici.
Questo, ovviamente, cambia molte cose: arricchisce l’esperienza del News Feed e di conseguenza il grafo sociale del sito e la sua reddività pubblicitaria, ma scommette sulla consapevolezza dei minori e sulle statistiche che dimostrano come in realtà gran parte di essi non pubblicano che per gli amici, anzi spesso sono molto settari in questo social, mentre lo sono assai meno su altri sistemi (come alcune chat che sembrano fatte apposta per il sexting).
Facebook ha introdotto anche un doppio avvertimento in caso di pubblicazione universale del contenuto. Quando un adolescente sceglie “Pubblico” nel selettore, vedrà un promemoria che spiega come il post può essere visto da chiunque, non solo le persone che conosce, con la possibilità di modificare la privacy del post. In caso prosegua, un secondo reminder specifica ancora una volta che il post può essere visto da chiunque e non soltanto dagli amici. Basterà?
Dal punto di vista statistico e tecnico, sostenere che la pubblicazione ampia di un post di un minore corrisponda di per sé a un favore ai malintenzionati è fuorviante: la sicurezza e la privacy non ci guadagnano con questa nuova opzione, lo si dica apertamente, ma la possibilità di sfruttare i contenuti di un minore sono legati al mezzo non ai suoi filtri. Una foto, un contenuto compromettente – assai più rari di quel che si pensi: gli adolescenti che cascano in questi comportamenti utilizzano le chat per smartphone per scambiarsi questo tipo di contenuto; spesso un social come Facebook è un ripetitore, mai un produttore – è replicabile all’infinito già nell’ambito degli amici degli amici. I malintenzionati possono fingere identità diverse, e a volte neppure serve, come nel caso della 13enne bresciana. È questione di consapevolezza, che per fortuna si sta diffondendo sempre più grazie al lavoro nelle scuole, unico vero baluardo contro le brutte avventure a cui possono andare incontro i ragazzi nell’uso di questi strumenti.