Mark Zuckerberg ha rotto gli indugi: dopo aver ripetutamente ricevuto richieste relative all’introduzione di un pulsante “Non mi piace” su Facebook, il gruppo per la prima volta apre a questa possibilità e annuncia l’inizio di una sperimentazione che potrebbe portare all’esordio del nuovo strumento. Mark Zuckerberg non lascia però spazio ai fraintendimenti e, sebbene le cronache delle ore successive riportino versioni errate ed approssimative dell’annuncio, la situazione è estremamente chiara: il pulsante “non mi piace” non avrà valore contrario al pulsante “mi piace”. Non saranno facce opposte della stessa medaglia, insomma. E il significato sarà ben più profondo.
L’annuncio è arrivato in occasione dell’appuntamento Q&A nel quale il CEO di Menlo Park risponde alle domande dei dipendenti, aprendo maggiormente le porte dell’azienda per stimolare la partecipazione e far trapelare l’idea di uno sviluppo aperto, continuo e improntato al miglioramento certosino delle dinamiche del network.
Questione di empatia
Zuckerberg non ha mai celato la propria disapprovazione per un pulsante che esprima sentimenti negativi: non è nella natura del network creare animosità e attriti. Un pulsante che penalizza un post altrui potrebbe infatti essere disgregante, con un potere deleterio per la struttura del social network (la cui finalità prima è unire e non dividere). Quel che si intende quindi introdurre ora è un pulsante che esprima empatia, non un semplice “non mi piace”. Il pulsante va progettato per tutte quelle situazioni in cui si condividono momenti tristi o amari, contenuti magari profondi ma non pensati per suscitare un sorriso, emozioni negative. Tutte queste situazioni possono sì coinvolgere gli amici, ma il pulsante “mi piace” può apparire scomodo o inopportuno. Gelando così la linea diretta che unisce il cuore al polpastrello, dove il coinvolgimento deve prendere forma e trasformare i neurotrasmettitori in click.
Trattasi insomma di una terra di nessuno che Mark Zuckerberg vuole tentare di occupare. Si ponga l’esempio di un decesso: un parente della persona deceduta potrebbe condividere un ricordo o la notizia in sé, ma gli amici potrebbero essere imbarazzati a usare un “mi piace” sulla notizia di una dipartita. Spesso e volentieri ci si affida quindi a commenti stringati o stereotipati (questione di automatico adattamento dei codici comunicativi), nonché messaggi privati (l’imbarazzo deriva da una esposizione pubblica), vivendo sulla pelle il fastidio di non poter esprimere la propria partecipazione con un solo click. Facebook del resto è pensato per facilitare l’espressione delle emozioni, non per bloccarle: un meccanismo in grado di aprire a nuove forme di coinvolgimento non può che aumentare il valore relativo del network nella propria aderenza ai bisogni degli utenti.
Il nuovo pulsante avrà questo ruolo: non esprimere un dissapore nei confronti del post altrui, ma semplice partecipazione. Una partecipazione nel dolore o nell’amarezza, comunque un coinvolgimento che avvicina. Non un “non mi piace” che rompe i rapporti e allontana le persone, insomma, ma una pacca sulla spalla che compartecipa una situazione spiacevole.
Ci abbiamo già lavorato a lungo. È incredibilmente complicato creare una interazione che si vuole essere semplice. Abbiamo un’idea che pensiamo di poter iniziare a testare presto.
Zuckerberg non spiega dunque come sarà il nuovo pulsante, né se avrà un tipo di interazione binario, come l’attuale “like”, o meno: difficilmente sarà un pollice verso, poiché da sempre caratterizza esattamente quel che Mark non vuole per la propria creatura. Non è nemmeno chiaro se possa avvicinarsi al più ricco e sfumato sistema delle emoticon, o se sarà adottato un meccanismo del tutto nuovo e made-in-Facebook. Risulta invece oltremodo chiaro quel che Facebook intende adottare: un meccanismo che consenta di esprimere la propria empatia invece di nasconderla.
Perché è questo il valore del social network: la capacità di far emergere le emozioni e trasformarle in interazioni. Su questo principio si parlano, si conoscono e si avvicinano oltre un miliardo di persone in tutto il mondo.